G8: una liturgia inutile?

898

I giorni scorsi hanno visto un gran movimento per i Grandi e i meno grandi della Terra. Ad agitarsi di più proprio il meno grande di tutti cui incombeva l’onere – difficile in questi giorni parlare di «onore» – di ospitare il G8 nella sede meno opportuna, nella città   dell’Aquila devastata dal terremoto del 6 aprile e considerata una «location» mediatica per chi dello spettacolo ha fatto una ragione di vita. E mentre tutta questa agitazione era in corso qui da noi e la terra in Abruzzo continuava a tremare esigendo costose soluzioni di ripiego, gli altri Grandi erano alle prese con questioni più serie.
A cominciare dal presidente Barak Obama alle prese con la sua prima visita in Russia per riavviare un dialogo difficile dopo l’era di glaciazione del duo George W. Bush-Vladimir Putin, l’invasione della Georgia e il ricorrente ricatto energetico all’Europa per interposta Ucraina.
A Mosca, Obama ha limitato al minimo la frequentazione di Putin, confidando nel volto nuovo di Dmitri Medvedev e non dimenticando quanto tutti dobbiamo al coraggio di Michail Gorbaciov. I problemi sul tavolo erano molti e spinosi: dal reciproco disarmo nucleare alla cooperazione nella guerra in Afghanistan, dal dialogo difficile con l’Iran all’insoluta questione dello scudo antimissili voluto più dalla Polonia che non dalla nuova Amministrazione USA. Sullo sfondo anche il futuro dell’Alleanza Atlantica (NATO), i suoi nuovi confini che la Russia non gradisce avere troppo vicini ai propri.
Intanto, nelle stesse ore, i diritti umani venivano calpestati come ormai da tradizione da un altro Grande, quel Hu Jntao presidente della Cina, ospite in Italia mentre nel suo Paese i morti si contavano a decine tra la minoranza musulmana turcofona in rivolta nella provincia dello Xinjiang. Anche qui ha prevalso per il governo italiano la ragione di Stato e la priorità   degli affari economici, con in premio la firma di accordi commerciali per due miliardi di dollari. Se non fosse stato per il coraggio del nostro presidente della Repubblica, nessuno avrebbe sollevato il problema del rispetto dei diritti umani da parte del nostro pallido ministero degli Esteri, per non disturbare il manovratore, occupato ad accogliere l’illustre ospite con sorrisi ed inchini.
A voler essere comprensivi si sarebbe anche potuto invocare l’esigenza di non danneggiare le prospettive del G8 in preparazione. Ma resta da capire quanto seria fosse questa preparazione difesa in una conferenza stampa al limite del surreale con pezzi da antologia, come il preteso ruolo svolto presso l’”amico Putin» in favore di Obama e la compunta lettura del garbato messaggio del Papa disinvoltamente interpretato come assoluzione.
Quanto alle prospettive sui risultati del Vertice pochi si facevano illusioni. La solennità   dell’ordine del giorno non faceva dimenticare quanto da sempre questo consunto rituale sia stato ricco di buone intenzioni e povero di risultati di rilievo: dalla lotta alla povertà   in Africa alle nuove regole per la finanza e l’economia e, adesso con qualche speranza in più, dai cambiamenti climatici alla sicurezza alimentare fino alla non-proliferazione nucleare.
àƒÆ’à¢â‚¬° deprimente costatare quanto poco sia stato fatto su tutti questi argomenti in passato e ancora deboli sono i segnali che vada meglio in futuro, nà© si puಠpretendere che Obama da solo possa fare voltare pagina ad una lunga consuetudine di promesse non mantenute, come quelle indecenti sul fronte della lotta contro la povertà  , ancora ripetute l’altro giorno dagli illusionisti di casa nostra.
Consola il pensiero che questa stanca liturgia stia per volgere al termine: nei prossimi mesi il G8 lascerà   il posto al G20, quello che qualche speranza in più ha fatto brillare nell’aprile scorso a Londra e che si riunirà   il settembre prossimo negli USA, sotto la presidenza di Obama. L’ampliamento dei partecipanti potrà   contribuire probabilmente meglio alla ricerca di un governo mondiale, associando al club degli otto altri nuovi protagonisti dell’economia mondiale, dalla Cina al Brasile, dall’India al Sud Africa. Giusto per tenere conto che da un po’ di tempo la musica è cambiata, e che l’Europa non è più al centro del mondo.
Figuriamoci questa nostra Italia.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here