Perché l’Unione Europea è una risorsa

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Conosciamo il ritornello: “non è un problema, ma una risorsa”. Qualche volta serve per consolarci, altre per cercare di trovare una soluzione, ma sempre si dovrebbe cominciare col capire che cosa si intenda per risorsa. 

L’esercizio è interessante se applicato all’Unione Europea, problema per molti, risorsa per chi ha capito quale straordinaria impresa sia il processo di integrazione comunitaria.

Troppo spesso però si prende affrettatamente una scorciatoia e si finisce subito fuori strada, come nel caso di chi si mette comodo traducendo “risorse” con “soldi”. Capita a chi ha orizzonti limitati, preoccupato dei “conti” e di procurare denaro, tradizionale leva di consenso, finendo col perdere di vista un progetto, come quello europeo, che vive da oltre settant’anni perché costruito su una visione lunga delle storia, avvalendosi di quelle risorse fondamentali che sono i valori di riferimento, le politiche che li traducono e, soprattutto, le persone che quel progetto cercano di portare a compimento.

Sono riflessioni banali che vengono in mente in questi giorni di acceso dibattito a Bruxelles – purtroppo molto meno dalle nostre parti – sul futuro dell’Europa, in occasione della presentazione di due importanti proposte di rilancio del processo di integrazione, prima con Mario Draghi sulla necessità dell’UE di competere di più nel mondo che non in casa propria e, subito dopo, di Enrico Letta sull’urgenza di rimettere mano al completamento del mercato interno europeo.

A Bruxelles hanno preso la parola due nomi eccellenti della politica italiana, sostenuti non a caso da un’altra “eccellenza repubblicana” come il Presidente Sergio Mattarella, forti il primo della sua lunga esperienza internazionale alla guida della Banca centrale europea (BCE), oltre che di Presidente del Consiglio italiano, e il secondo alla guida del governo della Repubblica, protagonista di una stagione non facile della politica italiana.

Purtroppo per i media italiani, spesso anch’essi distratti sull’essenziale, ha prevalso il dito che indicava la luna, sfiorando appena il tema dei due interventi per soffermarsi sulle ipotesi di competizione europea dei due interlocutori. Questo in particolare per Draghi, indicato prematuramente quasi come il nuovo “uomo della Provvidenza” per salvare l’Unione, memori di quando contribuì a salvare l’euro negli anni ad alto rischio del secolo scorso.

Oggi per l’Unione il rischio è anche più grande con due guerre ai suoi confini, la perdita di ruolo politico e l’aggravamento delle nostre dipendenze da altre potenze, che si tratti di alleati o di avversari, negli scambi commerciali mondiali. 

E allora è più importante portare l’attenzione sulle “risorse-idee” che sono state messe sul tavolo per ripensare radicalmente l’Unione e i suoi complessi meccanismi di funzionamento, senza aspettare un’improbabile riforma dei Trattati in tempi ravvicinati, come nelle parole di Draghi o come l’invito di Letta a cogliere forse “l’ultima finestra” che la storia ci offre per mettere in salvo il progetto europeo.

Niente di troppo rivoluzionario in tutto questo, solo la lucidità di “risorse umane” che conoscono la storia dell’Unione, hanno praticato l’arte difficile del compromesso, per resistere alla “forza di gravità” delle cosiddette Nazioni che minano il progetto di una ricomposizione continentale, oggi minacciata da movimenti nazional-populisti che rischiamo di consegnarci alle tragedie del secolo scorso. 

A ben vedere nemmeno niente di troppo nuovo: basta pensare alle proposte di Jacques Delors già negli scorsi anni ‘80, un’altra risorsa umana alla quale dobbiamo molto. Molto di più di quanto dobbiamo alle pur rispettabili risorse finanziarie del bilancio comunitario: senza le idee e le risorse umane, che se ne sono fatte portatrici, i soldi servono a poco, talvolta solo a pagare il consenso.

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