Negli ultimi 15 anni l’occupazione nel settore agricolo è andata costantemente diminuendo, spingendolo a fare sempre più affidamento sul contributo dei lavoratori stagionali, in particolare migranti, per soddisfare le esigenze di produzione.
Gli Stati membri dell’UE gestiscono autonomamente i propri programmi per i lavoratori stagionali assecondando le esigenze del mercato del lavoro interno, ma anche la propria politica di gestione dei flussi migratori e le relazioni con Paesi terzi.
Il lavoro agricolo stagionale è caratterizzato da condizioni dure e generalmente povere: i migranti (privi di documenti o meno) rischiano spesso di cadere vittima di pratiche illegali di caporalato o di moderne forme di schiavitù mascherate.
“Il declino dell’occupazione nell’agricoltura europea sottolinea la necessità cruciale di lavoratori stagionali sia dell’UE che di Paesi terzi durante le stagioni di punta della semina e del raccolto, evidenziando le sfide nel garantire condizioni di lavoro e di vita dignitose per questi lavoratori” ha affermato Nicoletta Merlo, membro della sezione Agricoltura, Sviluppo Rurale e Ambiente (NAT), che ha partecipato al seminario organizzato dal Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE) sul tema.
Un recente studio del CESE, al quale ha lavorato la stessa Merlo, stima, infatti, l’occupazione nel settore agricolo di quasi 2 milioni di lavoratori stagionali UE e di oltre 0,4 milioni di lavoratori stagionali extra-UE. Secondo alcune stime relative all’anno 2021, circa il 71% di questi lavoratori stagionali extra-UE non erano occupati sotto l’egida della direttiva sui lavoratori stagionali e, di conseguenza, non erano soggetti alle sue disposizioni in materia di diritti e protezione sociale, vedendosi preclusa la possibilità di avere accesso a tutele sociali essenziali come l’assistenza sanitaria, l’indennità di disoccupazione e le pensioni di anzianità.
Gli Stati membri possono adottare disposizioni più rigorose rispetto a quelle previste dalla legislazione dell’UE e sono responsabili della definizione e dell’applicazione della legislazione sociale e del lavoro secondo le norme nazionali. Questa “flessibilità” fa sì che in tutta l’UE esistano approcci eterogenei alla garanzia di una protezione sociale per i lavoratori stagionali, la cui stessa comunicazione alla Commissione europea risulta scarsa e frammentata.
Il CESE invita, dunque, l’UE ad agire per contrastare la precarietà del lavoro e le sue conseguenze, a formalizzare lo status dei migranti impiegati nella cura della persona o nel settore agricolo e a progettare e sviluppare percorsi realistici, legali e sicuri per la migrazione della manodopera verso i Paesi membri dell’Unione europea.
Per approfondire: Harvesting hope: The realities of seasonal and migrant workers in agri-food value chain