L’Unione Europea si avvia verso i settant’anni di vita e non sono pochi quelli che vorrebbero mandarla in pensione.
Tra questi, il popolo dei “rottamatori” e quello dell’antipolitica che dell’UE farebbero volentieri a meno, chi sedotto dal “nuovo” che (non) avanza e chi nostalgico delle sovranità nazionali che ritornano.
Tra questi ultimi si sono manifestatii britannici il 23 giugno 2016 votando in favore dell’uscita del RegnoUnito dall’UE per ritrovare una presunta indipendenza minacciatae, più ancora, per sfruttare un libero mercato oggi appesantito da troppe regole. Possono contare sulla brutta compagnia di movimenti populisti e xenofobi, lontani da rassicurare sul governo dell’Europa
in questa stagione di crisi.
Più articolato il campo di quanti manderebbero in pensione “questa” Unione Europea per (ri)costruirne un’altra: per alcuni più “politica”, per altri soprattutto meno “burocratica”, per qualcuno con 27 (e anche più) Paesi insieme, altri preferibilmente con i Paesi dell’eurozona, in un’Europa a cerchi concentrici.
Questo libro prova a fornire alcune informazioni essenziali per orientarsi in un paesaggio complesso e prepararsi a un futuro già cominciato.
INTRODUZIONE:
L’UNIONE EUROPEA DOPO BREXIT
Con il referendum del 23 giugno 2016 che ha sancito la decisione del popolo britannico di uscire dall’avventura dell’integrazione comunitaria, l’Unione Europea è giunta a un punto di svolta.
Vi è arrivata stremata da una crisi economico-finanziaria, trasformatasi rapi- damente in un crescendo di difficoltà sociali e politiche che hanno ulteriormente frammentato un’Unione dove andava prendendo progressivamente consistenza un processo di coesione con i nuovi Paesi che vi avevano aderito in questo inizio di millennio.
Si trattava di una coesione ancora fragile tra due Europe: quella dei Paesi fondatori, degli anni ’50, cui si erano aggiunti, tra il 1973 e il 1995, gran parte dei Paesi dell’Europa occidentale e quella dell’Europa centrale e orientale, liberatasi dal giogo sovietico nel 1991.
I nuovi Paesi si erano innestati, in misura e con prospettive politiche diver- se, sul primo cantiere dell’integrazione comunitaria della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) e della nuova Comunità Economica Europea (CEE), nata nel 1957 con il Trattato di Roma. Si era trattato di un innesto non sempre riuscito tra chi guardava verso l’orizzonte di un’Europa federale, e quindi politica, e coloro a cui bastavano le dimensioni di un grande “mercato comune”.
Non che tutto filasse liscio già tra i sei Paesi fondatori: la Francia in particolare, gelosa della sua sovranità, bocciò nel 1954 il progetto di una Comunità Europea della Difesa (CED) e tornò a contrastare il processo di integrazione con la “crisi della sedia vuota” del 1965, conclusasi con il discutibile “compromesso del Lussemburgo” nel 1966.
Resistenze che si aggravarono con l’ingresso nel 1973 della Gran Bretagna – insieme a Irlanda e Danimarca – interessata a partecipare al mercato comune ma non disponibile a cedere sovranità alle Istituzioni comunitarie. Altre nostalgie di “sovranità” emersero progressivamente nei nuovi Paesi dell’Est, finalmente liberi da Mosca e poco inclini a piegarsi al “nuovo Cremlino” di Bruxelles.
Il resto è storia dei nostri giorni: quella di un’Europa dove sono tornati a soffia- re vigorosi i venti del nazionalismo, alimentato anche dalla paura degli importanti flussi migratori in provenienza da aree di guerra e povertà, accompagnati da nuove tentazioni di protezionismo, che mettono a rischio il commercio mondiale.
In questo quadro non sorprende più di tanto l’orientamento espresso da una risicata maggioranza dell’elettorato britannico di lasciare un’Unione Europea, alla quale il Regno Unito non ha mai compiutamente aderito. E questo senza tuttavia una prospettiva chiara per il futuro, se non l’intenzione di stare fuori dall’UE con un piede dentro il mercato, come prima era stata per una quarantina d’anni den- tro l’UE con un piede fuori dalla strada verso l’unione sociale e politica.
Di questa Europa, ancora in cammino verso l’integrazione, ma in salita e in ordine sparso, raccontano queste pagine, alla ricerca di segnali che aiutino a ca- pire quale sarà il futuro delle nuove generazioni europee: se disperse e inquiete in un mondo turbolento o raccolte in una comunità di destino, costruita sui valori della modernità, lasciatici in eredità da un passato ricco di cultura e aperta a un avvenire di pace e solidarietà.
Recensione
“Faglie d’Europa, Unione Europea a rischio” di Franco Chittolina
Ed. Primalpe, p.112, 12 euro
a cura di Monica Gallanti
Nei migliori romanzi gialli – anche nelle tragedie greche, in verità – il delitto prende le mosse da un movente lontano, da un antefatto sfuggente che diventa il motore di tutta la narrazione.
Anche nel caso dei terremoti, i drammatici effetti in superficie sono scatenati da movimenti profondi e invisibili, lungo linee di frattura che prendono il nome di faglie. E’ un’immagine forte, attuale – quando si scatena un terremoto, molti italiani diventano sismologi – che può essere esportata ad altri ambiti e risulta efficace per spiegare il presente e le radici su cui si fonda.
L’ultimo libro di Franco Chittolina, “Faglie d’Europa”, edito da Primalpe, prende in prestito – almeno nel titolo – proprio il lessico dei sismologi, muovendosi nel solco della stessa narrazione: anche i fenomeni più manifesti, anche le fratture più violente e apparentemente inspiegabili possono affondare le loro radici in profondità. Amatrice e Brexit, appunto.
Così, con la disinvoltura di chi padroneggia un argomento e sa come divulgarlo, l’autore – che non è nuovo a raccontare l’Europa – conduce i lettori in un percorso necessariamente lungo nel tempo, individuando le traiettorie politiche, sociali, culturali che hanno portato l’Unione Europea ad essere oggi quella che è: un personaggio ancora in cerca d’autore, una vecchia signora dal passato nobile (non senza le sue ombre) che si affanna a cercare gli strumenti per interpretare il presente che la incalza.
Il tempo dell’Europa, nel racconto di Chittolina, si dilata e si restringe come una fisarmonica: i primi due capitoli, appena una manciata di pagine, tratteggiano “L’Europa prima della UE” e “L’Europa del Novecento”, ma il corpo centrale del saggio è dedicato al decennio appena concluso e alle prospettive e alle sfide che si aprono di fronte a noi: un flusso migratorio diventato strutturale, l’ondata dei nazionalismi, le conseguenze della crisi economica e finanziaria.
Il ritmo del libro è molto incalzante, grazie al susseguirsi di paragrafi brevi e incisivi. Gli argomenti sono spiegati con “strenua chiarezza”, come avrebbe detto Primo Levi: è una scelta etica e “politica”, nel suo significato originale, perché orientata nemmeno troppo velatamente alla formazione di cittadini attivi e consapevoli. Perché è ad essi che l’autore implicitamente si rivolge, non limitandosi a fornire la sua chiave di interpretazione, ma offrendo strumenti concreti per una formazione autonoma, come la cronologia, il glossario, la bibliografia e la sitografia che chiudono il testo (e aprono un mondo).
Certo, qualcuno potrebbe dire che “Faglie d’Europa” nasca potenzialmente superato dal rapido susseguirsi degli eventi. Un giornale quotidiano è già vecchio il giorno dopo, un testo così legato al presente può correre il rischio di sembrare sorpassato qualche settimana dopo la sua pubblicazione.
In realtà, il saggio di Chittolina si pone ben al di sopra di quello che gli editori definiscono un “instant book” ovvero un testo nato per commentare un avvenimento recente. Nel racconto, il tempo dell’Europa si dispiega in tutte le sue estensioni perché, come dice l’autore, “servono la memoria del passato, la ragione per comprendere il presente e l’immaginazione per progettare il futuro”.
E tornando alle faglie, il tempo geologico dei terremoti, non è il tempo dell’uomo. Senza i movimenti tellurici che ne hanno accompagnato la formazione, non avremmo le nostre meravigliose Alpi. Anche il paesaggio umano muta, ma più velocemente: a noi il compito, non facile ma necessario, di raccogliere la sfida del cambiamento – questo sembra essere, in conclusione, l’invito di Chittolina – e rilanciarla per “un avvenire di pace e di solidarietà”.
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