Promemoria per l’anno che inizia

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Lasciati da parte gli astrologi – peraltro spesso interpellati dai politici, il che la dice lunga su che cosa sia diventata la politica – i profeti di sventura e gli imbonitori del «predellino», due facce di una stesso inganno, proviamo a vedere che cosa ci aspetta nei primi mesi del 2011, senza la pretesa di sapere come va a finire e nemmeno che cosa potrà   capitare dopo.
Perchà© come andrà   a finire non è scritto nel destino, ma in buona parte nelle nostre mani, se abbiamo il coraggio di sporcarcele con le cose di questo mondo e perchà© quello che capiterà   nel resto dell’anno è cosa lontana, tenuto conto della «vista corta» della politica, come ci ricordava il compianto Tommaso Padoa Schioppa.
Che nella prima metà   del 2011 la crisi economica e finanziaria sia ancora all’ordine del giorno, e con essa la crisi sociale ed occupazionale, lo negano solo quelli che hanno interesse ad occultare l’evidenza: in Europa sarà   così ancora per molti Paesi e tra questi l’Italia, che registrerà   una crescita debole e del tutto insufficiente a rilanciare l’occupazione. Dopo la Grecia e l’Irlanda, il fallimento dei conti pubblici minaccerà   il Portogallo e, forse, la Spagna e non sarà   l’arrivo dell’Estonia nell’euro che ne risolleverà   le sorti, anche perchà© è improbabile che la speculazione internazionale sarà   tenera con un’Europa incapace di fare fronte comune contro la crisi.
Angela Merkel in Germania, da cui molti – dalla Banca Centrale Europea (BCE) al Fondo Monetario Internazionale (FMI) – si aspettano una maggiore assunzione di responsabilità  , ha in agenda troppe elezioni regionali per rischiare di perdere consenso tra elettori «stanchi di pagare» e che l’aspettano al varco delle elezioni federali del 2012.
Nà© ci si puಠaspettare che meglio possa e voglia fare la Francia, anch’essa alla vigilia delle elezioni presidenziali, nà© si puಠprevedere che un miracolo spinga ad investire sul continente il governo britannico, alle prese con politiche da lacrime e sangue sull’isola.
Nà© potrà   essere di grande aiuto la presidenza ungherese del primo semestre 2011, non solo senza esperienza nella conduzione degli affari europei ma anche protagonista di inquietanti orientamenti nazionalisti e di misure liberticide contro la stampa, decisioni che potrebbero dare qualche idea a populisti che non scarseggiano in Europa e nemmeno in Italia.
Tutto questo solo per accennare ad alcuni nodi europei, tralasciando la prospettiva problematica del ritiro dei militari occidentali – e italiani – dall’Afghanistan, le minacce per la pace alimentate dai conflitti mediorientali – da Israele all’Iran e all’Iraq – e dalle tensioni tra le due Coree, senza contare i molti focolai di guerra in un’Africa sempre più dimenticata.
Sarebbe bello potersi rinfrancare guardando all’Italia.
Sarà   bene aspettare a farlo almeno fino dopo la metà   di gennaio, quando avremo conosciuto la sentenza della Corte costituzionale sul «legittimo impedimento» a protezione del presidente del Consiglio e quando, più vicino a noi, capiremo che ne sarà   del rispetto dei diritti dei lavoratori nella vicenda della «nuova» Fiat di Sergio Marchionne confrontata ad un referendum che, comunque vada, farà   delle vittime nel sindacato. Due vicende tra loro diverse, ma accomunate dai rischi corsi dalla legalità   in un Paese che sull’argomento non è proprio al di sopra di ogni sospetto.
Fortuna che a metà   marzo è previsto – salvo altri «impedimenti» – il ritorno della primavera che inaugureremo qualche giorno prima con la celebrazione, il 17 marzo, dei 150 anni dell’Unità   d’Italia: una festa raffreddata da forze politiche che a Roma pretendono di governare l’Italia nell’attesa di liberare una fantomatica Padania dagli «stranieri» italiani e dai «barbari» extra-comunitari. Le stesse forze politiche che in Lombardia si appellano a Carlo Cattaneo e in Piemonte a Luigi Einaudi, facendoli rivoltare entrambi nelle loro tombe.
Ma non saranno i padani, se mai esistessero, a rovinare con il loro folklore la festa; è più probabile che la possano rovinare traumatiche elezioni anticipate che, anche se fatte sotto Pasqua, è improbabile che annuncino una resurrezione di questo Paese e della sua classe politica, in gran parte unita nel segno del logoramento e della incapacità   a proporre un progetto riformatore di cui l’Italia ha bisogno.
Ci aspettano mesi difficili, meglio saperlo che mettere la testa sotto la sabbia. Meglio saperlo ed operare perchà© questo Paese ritrovi la strada del bene comune – come ha implorato nel giorno di Natale Benedetto XVI – e non capiti all’Italia che, dopo aver toccato il fondo, adesso si metta pure a scavare. Perchà© scaverebbe la tomba per le future generazioni.

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