Presentato il Rapporto 2008 di Amnesty International

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A 60 anni dall’adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani, la tortura è ancora presente in almeno 61 Paesi, processi iniqui si celebrano in almeno 54 Paesi mentre in 77 Paesi non è consentita la libera espressione delle idee, denuncia Amnesty International nel suo Rapporto 2008.
Analizzando gli articoli della Dichiarazione dei diritti umani, Amnesty dimostra infatti come essa sia ancora ampiamente disattesa, sottolineando come la più grave minaccia al futuro dei diritti umani è costituita «dall’assenza di una visione condivisa e di una leadership collettiva».
«Il 2008 presenta l’opportunità   senza precedenti, per le nuove leadership al potere, per quelle che verranno elette e per le potenze emergenti, di indicare una nuova direzione e rigettare le politiche miopi che, negli ultimi anni, hanno reso il nostro pianeta un luogo sempre più pericoloso e diviso» ha dichiarato Paolo Pobbiati, presidente della Sezione italiana di Amnesty, nel corso della presentazione del Rapporto annuale 2008 pubblicato in Italia da EGA Editore.
I governi, soprattutto delle maggiori potenze mondiali, sono quindi invitati a dare l’esempio e stabilire un nuovo paradigma per la leadership collettiva, basato sui principi della Dichiarazione universale dei diritti umani. La Cina dovrà   rispettare gli impegni assunti in occasione dell’assegnazione delle Olimpiadi, consentendo piena libertà   d’espressione e di stampa e ponendo fine alla rieducazione attraverso il lavoro. Gli USA dovranno chiudere il centro di detenzione di Guantà ¡namo e le strutture detentive segrete, processare i prigionieri secondo procedure eque oppure rilasciarli e respingere inequivocabilmente l’uso della tortura e dei maltrattamenti. La Russia dovrà   mostrare maggiore tolleranza verso il dissenso politico e nessuna indulgenza per le violazioni dei diritti umani in Cecenia. L’UE dovrà   indagare sulla complicità   dei suoi Stati membri nelle rendition di sospetti terroristi e pretendere dai suoi Stati membri il medesimo rispetto dei diritti umani che chiede agli altri Stati del mondo.
«C’è una sempre maggiore domanda di giustizia, libertà   e uguaglianza» osserva Amnesty, secondo cui le immagini dei monaci birmani, degli avvocati pakistani e delle donne iraniane che nel 2007 hanno riempito le strade e le piazze dei loro Paesi sono state eloquenti: «Instancabile e indignata, la gente non rimane in silenzio e i leader mondiali non possono correre il rischio d’ignorarla. Al contrario, devono mostrare quella stessa visione, quello stesso coraggio e quello stesso impegno che portarono, 60 anni fa, all’adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani».

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