Numeri per riflettere sul futuro dell’auto

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Molte parole si sono spese nei giorni scorsi sulla vicenda di Mirafiori e sul referendum sull’accordo imposto da Sergio Marchionne, sottoscritto da quasi tutte le sigle sindacali, ad eccezione dei metalmeccanici della CGIL e dei Cobas. Inevitabile la drammatizzazione della vicenda per l’importanza del suo esito economico e sociale non solo per Torino e il Piemonte e per il varco che avrebbe aperto nelle relazioni industriali di tutto il Paese.
Molti commenti si sono concentrati sui risultati del referendum, a cominciare dai numeri usciti dalle urne: oltre il 94% di partecipazione al voto, un testa a testa tra il sì e il no e un risultato finale di 54% di voti favorevoli e 46% contrari. Un risultato sorprendente rispetto alle previsioni molto più ottimistiche di alcuni sindacati – la UIL in particolare – che avevano firmato l’accordo.
Ed è qui che altri numeri possono aiutarci a capire qualcosa di più sull’importanza di quanto è accaduto a Mirafiori, dove i sindacati del no potevano contare su meno del 30% di aderenti rispetto ai quali hanno incassato l’adesione di 50% in più di voti contrari all’accordo. Un differenziale che dovrebbe fare riflettere sulle reali capacità   di rappresentanza delle organizzazioni sindacali e sulla loro capacità   di interpretare le attese e la sensibilità   propria dei lavoratori.
Ma altri numeri incombono e non meno pesanti. Il caso, che talvolta fa bene le cose, ha voluto che poche ore prima di conoscere i numeri relativi ai lavoratori di Mirafiori fossero resi pubblici i numeri sull’andamento del mercato dell’auto in Europa.
I risultati non sono esaltanti: nel 2010 si è registrato un calo complessivo del mercato dell’auto del 4,9% rispetto al 2009, cui hanno contribuito un po’ tutte le marche, ad eccezione di Renault, BMW e, in misura maggiore, Nissan. Purtroppo maglia nera tra chi ha ceduto quote maggiori proprio la Fiat con una caduta del 17%, seguita a ruota dalla Toyota e dalla Ford, molto più contenute le contrazioni delle altre marche europee.
Attribuire la mancata competitività   della Fiat al costo del lavoro è per lo meno superficiale, quando è risaputo che questa voce pesa sul prodotto finale solo per il 7% e che Volkswagen, con una presenza sul mercato europeo tripla rispetto alla Fiat, ha il più alto costo del lavoro del pianeta.
Sarebbe il caso di spiegare come un simile differenziale sia recuperabile incidendo prevalentemente sul costo del lavoro, come nel diktat di Marchionne e non invece, e in misura molto maggiore, su altre voci come la ricerca, le tecnologie e le infrastrutture. Speriamo venga in soccorso l’altro numero dello «scambio»: quel miliardo di euro di investimenti promesso in caso di vittoria dei sì e magari anche l’introvabile politica industriale da parte di chi dovrebbe governare questo Paese. Staremo a vedere.
Intanto dalla Cina, mercato «da sogno» per molte industrie, arriva un altro numero curioso ed inquietante per il futuro dell’auto. A Pechino ci sono ormai così tante auto in circolazione – quasi cinque milioni – che dal primo gennaio 2011, per ridurre le immatricolazioni, le targhe vengono sorteggiate per contenerle sotto la soglia di 240 mila all’anno, un terzo di quelle rilasciate nel 2010.
Questi alcuni dei numeri utili per riflettere sul futuro dell’auto, anche per evitare di caricare tutto su quell’altro numero – quello dei coraggiosi e disperati 5400 lavoratori di Mirafiori – tutte le responsabilità  , presenti e future.

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