L’Europa a vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino

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Sono passati vent’anni dal crollo del Muro di Berlino e dall’ampliamento del processo di integrazione europea. Quel 9 novembre del 1989 segnಠuna svolta per tanti aspetti inattesa non solo per la Germania e l’Europa, ma anche per il mondo. Una svolta che è ancora lontana dal suo compimento: la riunificazione tedesca, sicuramente in stato di avanzata realizzazione, è tutt’ora in corso (ci vorranno almeno 10 anni per una parità   economica tra le due ex-Germanie), la coesione economica e politica dell’Unione Europea stenta a consolidarsi e una nuova configurazione mondiale si va appena tratteggiando.
Si sa che la storia – quella politica, in particolare – ha ritmi lenti e metabolizza con difficoltà   rotture e novità  , ma forte è la tentazione di pensare che il metabolismo della vecchia Europa abbia tempi ancora più lunghi, quelli di una tartaruga che non solo procede lenta ma va anche spesso un po’ di traverso.
Per convincersene bastano alcune date: da quel 9 novembre 1989 bisognerà   aspettare fino al maggio del 2004 per accogliere nell’UE i primi otto Paesi dell’ex blocco sovietico, altri due anni per realizzare, in condizioni non proprio ottimali, l’adesione di Romania e Bulgaria. Oggi aspettano ancora di entrare nell’UE – e la cosa non avverrà   in tempi brevi – i Paesi della ex-Jugoslavia, ad eccezione della Slovenia dal 2004 nell’UE e della Croazia che dovrebbe raggiungerci presto.
Ma, più grave, ci saranno voluti vent’anni da quel novembre 1989 per riuscire ad adottare un nuovo Trattato – quello di Lisbona – che tenterà   adesso con grande ritardo di rispondere almeno in parte alle sfide che il crollo del Muro di Berlino ha lanciato all’Europa e al mondo.
Nel frattempo il mondo non ha aspettato le infinite esitazioni dell’Europa, anche perchà© nuovi eventi ne hanno accelerato l’evoluzione: nel 1991 la dissoluzione dell’Unione Sovietica, nel 2001 l’attacco alle Torri gemelle di New York, nel 2003 l’intervento armato in Iraq con un’Europa incerta e divisa e, via via, il prepotente affacciarsi di nuovi Paesi emergenti, con Cina e India in testa, la svolta della politica USA dello scorso anno fino agli sconvolgimenti della crisi finanziaria ed economica con il tramonto del G8 malgrado la penosa messinscena de L’Aquila, la nascita del G20 e la tentazione di un G2 con USA e Cina soli al comando.
In tutti questi anni l’Europa ha fatto la figura della «bella addormentata nel bosco» e ancora stiamo aspettando che un principe azzurro la venga a risvegliare, senza che si scorga oggi all’orizzonte una leadership capace di scuoterla dal suo torpore. Sono lontani anni-luce protagonisti del nuovo, da Helmut Khol a Michail Gorbaciov fino a Giovanni Paolo II. Improbabile che possano riprendere il testimone le nuove figure istituzionali dell’UE previste dal nuovo – ma già   vecchio – Trattato di Lisbona: quel presidente stabile del Consiglio Europeo, scelto accuratamente per non fare ombra ai capi di Stato dei Paesi membri, e quel «ministro degli Esteri» ancora senza una reale capacità   di condurre una politica estera comunitaria.
Con toni diversi, autorevoli commentatori di politica internazionale, parlando dell’anniversario della caduta del Muro, hanno invitato a «non stappare lo spumante», evitando i toni festosi di vent’anni fa. Di quell’avvenimento che avrebbe dovuto – e forse potuto – cambiare il corso della storia verso un mondo rappacificato e una nuova solidarietà   planetaria oggi si vedono frutti ancora scarsi. La globalizzazione selvaggia della finanza e dell’economia, le conflittualità   diffuse in molte aree del mondo, l’indebolimento delle democrazie (e non solo nella Russia dell’”amico” Vladimir Putin), l’aggravamento della dipendenza dei Paesi fintamente in via di sviluppo e l’aumento della povertà   non sono certo un bilancio positivo di questi vent’anni.
Ma poichà©, citando Albert Einstein «è meglio essere ottimisti ed avere torto piuttosto che pessimisti ed avere ragione» è ancora lecito sperare che il grande potenziale liberato in quel 9 novembre 1989 non sia stato tutto dilapidato e che il sogno di quei giorni non sia del tutto spento.
Ne abbiamo bisogno noi e lo dobbiamo a quelli che quel Muro furono capaci di abbattere nella speranza di ritrovare ad occidente una democrazia che credevano solida e che invece di anno in anno si va corrompendo, al di qua di quel muro, ogni volta che la legalità   è calpestata, la divisione dei poteri non rispettata e la libertà   dell’informazione gravemente limitata.
Non era questo che sognavano i lavoratori che si ribellarono nei cantieri di Danzica e le realtà   ecclesiali di confessioni diverse che minarono un muro apparentemente incrollabile ma per nulla di cartone, come adesso qualcuno vorrebbe far credere. E altri disegni avevano in mente alcuni politici coraggiosi che quei movimenti compresero o almeno non contrastarono con la violenza delle armi.
Oggi il migliore modo di onorare il debito che abbiamo contratto con quei «liberatori» è quello di tornare a promuovere quella «libertà  , uguaglianza e fraternità  » che fece irruzione con la Rivoluzione Francese e che duecento anni dopo è tornata ad affacciarsi tra di noi.
Non avremo altri duecento anni di tempo per ricostruire quel mondo di diritti che si è andato erodendo e forse nemmeno vent’anni.
Anche per questo è meglio che la tartaruga Europa acceleri il passo.

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