Europa: segnali di risveglio?

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In molti, nei giorni scorsi, siamo stati con il fiato sospeso per la sorte dell’euro, dell’Europa e dell’Italia. Segnali contrastanti continuano ad arrivare e consigliano di non abbassare la guardia, ma forse s’intravvedono alcuni primi segnali di risveglio: per l’euro che sembra riprendere quota, per l’Europa che sembra uscire da un lungo torpore, con la speranza che anche l’Italia si dia una mossa, non aspetti la salvezza dall’alto e si rimbocchi le maniche.
Tutto questo in un quadro che resta per l’Europa problematico: un’economia in debole crescita, una situazione finanziaria ancora in buona parte da risanare, con una popolazione che rappresenta poco più del 7% di quella mondiale, con un tasso crescente di persone anziane e la natalità   ai minimi storici e, soprattutto, con una cultura certo antica ma anche vecchia, poco capace di cogliere le novità   del mondo in cui viviamo.
Questa Europa perಠ– e con essa anche l’Italia – detiene ancora un’industria manifatturiera di tutto rispetto, un forte dinamismo commerciale, una sensibilità   ambientale che cresce e giacimenti culturali lungi dall’essere sfruttati appieno.
E’ purtroppo debole la politica, la capacità   cioè di estrarre da questo patrimonio di ricchezza e di lavoro un progetto condiviso per il futuro, di definire nuove regole di una convivenza civile di qualità   per competere con il resto del mondo non al ribasso sui diritti, ma rispettandoli e facendoli rispettare anche nel resto del mondo. Un’impresa di non poco conto, con una globalizzazione non governata da Istituzioni internazionali adeguate e con l’ondata di speculazioni, prevalentemente finanziarie, che hanno travolto grande parte del pianeta in particolare in questi ultimi tempi.
A Bruxelles la politica, nei giorni scorsi, è sembrata timidamente di ritorno anche se non sempre con gli attori rispettosi dei ruoli gli uni degli altri.
Si è fatta sentire nel «caldo» dei mesi estivi la Banca Centrale Europea (BCE) intervenendo massicciamente a sostegno di Paesi in difficoltà   con i loro conti pubblici; ha rifatto capolino la Commissione Europea, in letargo da tempo, ricordandosi che i Trattati le affidano un potere di iniziativa; ha alzato la voce, spesso inascoltata, il Parlamento Europeo e sono usciti allo scoperto i massimi responsabili politici europei. Purtroppo non tutti, non al momento giusto e, soprattutto, non in modo rispettoso dello spirito comunitario e delle regole istituzionali. Certo la situazione di emergenza non aiutava, ma non c’è dubbio che si poteva fare di più, meglio e prima.
Nell’agitazione in ordine sparso che ha caratterizzato l’UE nei mesi scorsi, si sono fatti largo due Paesi, di non identica credibilità   e peso economico: la Germania, che dopo avere troppo a lungo esitato, ha preso il timone del risanamento e la Francia, che l’ha affiancata per non perdere il treno di una sua possibile leadership da tempo in declino. L’Italia quel treno l’ha perso da tempo e non sembra in grado con l’attuale governo di raggiungerlo e ancor meno di orientarlo.
Resta il fatto che una prima reazione c’è stata e che il Consiglio Europeo della settimana scorsa si è raccolto attorno alla cancelliera Merkel e al suo ritrovato dinamismo. Adesso è venuto il tempo di un’azione corale che coinvolga tutti i Paesi dell’UE o, almeno, quelli che hanno fatto la scelta dell’euro: una moneta che sarà   pure «strana», ma solo perchà© «strani» sono stati i politici che non hanno completato il percorso, accompagnando la scelta dell’euro con una politica economica e fiscale comune.
Di qui un barlume di speranza che si intravvede nelle conclusioni del Consiglio Europeo del 23 ottobre che «ha preso atto dell’intenzione dei leader della zona euro di riflettere su un ulteriore rafforzamento della convergenza economica nella zona stessa, sul miglioramento della disciplina di bilancio e l’approfondimento dell’unione economica, compresa la possibilità   di apportare modifiche limitate al Trattato». Parole prudenti, calcolate al millimetro, ma che aprono un varco verso un’altra Unione Europea, probabilmente a geometria variabile, con progressi dei Paesi dell’euro verso l’integrazione politica. Per ora solo una speranza, ma da non sottovalutare.
Si puಠallora essere ottimisti? Forse valgono ancora le parole severe di uno scrittore francese, di forte ispirazione cristiana, Georges Bernanos: «L’ottimismo è una falsa speranza a uso dei vili e degli imbecilli». Meglio allora parlare di speranza, sempre con le parole di Bernanos: «La speranza è un rischio da correre». E’ addirittura il «rischio dei rischi» o con quelle di Giovanni Paolo II: «Non c’è speranza senza paura, e paura senza speranza».
Tutti messaggi ancora attuali per l’Europa e, in particolare, per l’Italia inquieta di questi giorni.

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