Aprire i mercati del lavoro a bulgari e rumeni

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A un anno dall’ingresso nell’UE di Romania e Bulgaria, non ci sono ragioni per temere ancora l’afflusso nei «vecchi» Stati membri di cittadini di questi due Paesi in cerca di lavoro: è quanto sostiene uno studio pubblicato dall’organizzazione European Citizen Action Service (ECAS).
Secondo lo studio, infatti, il numero di cittadini rumeni e bulgari giunti nei Paesi dell’UE nell’ultimo anno non è aumentato significativamente rispetto a quanto avveniva prima dell’allargamento del 2007. «Il grosso dell’emigrazione da Romania e Bulgaria ha avuto luogo ben prima dell’accesso nell’UE di questi due Paesi e ha continuato a riguardare sempre gli stessi Paesi di destinazione, cioè Grecia, Italia, Spagna e Portogallo» sostiene il direttore di ECAS, Tony Venables.
Le restrizioni agli ingressi, cioè le disposizioni transitorie adottate dalla maggior parte degli Stati membri sia per l’allargamento del 2004 sia soprattutto per l’ingresso di Romania e Bulgaria nell’UE, «hanno solo lievi giustificazioni economiche e sono piuttosto usate come strumento politico» sostiene il Rapporto dell’ECAS, secondo cui devono essere abbandonate urgentemente per la loro «natura discriminatoria» e perchà© basate su previsioni esagerate di flussi migratori in ingresso.
Inoltre, osserva l’ECAS, l’esperienza dell’allargamento del 2004 ha mostrato l’impatto positivo sulle economie e i mercati del lavoro dei Paesi dell’UE che non hanno applicato restrizioni all’ingresso dei lavoratori dei nuovi Stati membri. E proprio dopo il Rapporto della Commissione europea sui risultati della prima fase dell’allargamento del 2004, cioè in base a informazioni reali e non a paure infondate, la maggior parte degli Stati dell’UE aveva deciso di aprire i loro mercati del lavoro. Cosa che, secondo l’ECAS, dovrebbe essere fatta ora con i cittadini di Bulgaria e Romania.

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