Le altre nuvole che oscurano l’Europa

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Fin troppo facile usare l’immagine dell’Europa, oscurata da una nuvola che impedisce di volare, per dire quello che sta accadendo nella politica e nella società   europea in questi ultimi anni.
Lunga sarebbe la lista degli ingredienti che alimentano quella nuvola, ma uno – il populismo dilagante – sembra particolarmente inquietante e meritevole di qualche riflessione.
Un’ondata populista, prima incerta e sottovalutata, poi più pesante e organizzata si sta estendendo da nord a sud, in questi ultimi tempi più a est che a ovest dell’Unione Europea. Un campanello d’allarme era già   suonato forte e chiaro in anni passati nell’Austria di Jà ¶rg Haider. Da allora i rintocchi della campana populista e razzista si erano fatti sentire nel cuore della vecchia Unione Europea, riprendendo più cupi con le recenti elezioni in Olanda e Belgio e, a est, in Slovacchia e Romania. Un mese fa conferme contrastanti di questa tendenza si sono registrate nelle elezioni amministrative francesi e italiane, nei giorni scorsi in Ungheria, in attesa di vedere che cosa capiterà   a giugno nelle elezioni presidenziali in Polonia, in una situazione politica aggravata dal trauma che ha visto distrutta, nell’incidente aereo del 10 aprile scorso, grande parte della sua squadra di governo.
Messi tutti in fila, questi segnali proiettano un’ombra pesante sul futuro della democrazia nell’Unione Europea, ancora prigioniera di una crisi economica e sociale che qualcuno comincia a temere possa essere l’anticamera di gravi crisi politiche.
Bisogna senz’altro dire, fin da subito, che diversi sono gli ingredienti dei molti «populismi» che percorrono l’Europa: da quelli bonari e sorridenti, ma non per questo meno pericolosi con le loro derive plebiscitarie, a quelli più rozzi e violenti che brandiscono senza ritegno la bandiera del razzismo in nome dell’identità   nazionale. àˆ il caso soprattutto nei Paesi europei dell’est, come in Ungheria dove, nelle elezioni dei giorni scorsi, il partito Jobbik (Movimento per un’Ungheria migliore) è passato dal 2% del 2006 al 16,7% di oggi. Nel suo programma spiccano forti la nostalgia per il passato e i toni antisemiti, l’esaltazione nazionalista e la criminalizzazione della popolazione rom.
Almeno in parte diverso il messaggio che ha riportato alla ribalta in Francia il Fronte Nazionale di Jean-Marie Le Pen che in molte Regioni ha raggiunto la soglia del 20%, anche grazie al varco apertogli dalle inclinazioni populiste di Nicolas Sarkozy e dalla protesta contadina, ostile alle prospettive della futura politica agricola europea, meno generosa e sprecona che in passato. Anche grazie a questo, lo slogan «prima francesi che europei» ha pagato.
Tutti elementi che hanno indotto molti osservatori ad evocare un parallelo con la situazione italiana, dove perಠad una democrazia in precaria salute non si accompagna il richiamo alla nazione, ancora forte in Francia. Senza contare che in Italia ben altra è la composizione del governo e l’alto tasso di populismo al suo interno.
Resta il fatto che i partiti a dominante populista – se non addirittura razzista – crescono in Europa anche se provano qualche difficoltà   – viste le loro diversità   – ad allearsi all’interno del Parlamento Europeo. Da una parte, perchà© l’estrema destra sembra perdere terreno nell’Europa occidentale, come nel caso del Regno Unito, della Germania e anche dell’Italia e, dall’altra, perchà© diversi sono i temi – più nazionalisti e razzisti – che potrebbero aggregare i movimenti populisti nell’Europa orientale.
Tutti perಠsembrano trovare un punto di incontro nella fobia dell’islam e degli immigrati musulmani, un tema cavalcato anche nelle mitiche democrazie scandinave, come nel caso della Danimarca, in una componente essenziale del governo (il Partito del Popolo Danese) e in Svezia dove, con le elezioni d’autunno, il partito fratello potrebbe entrare in Parlamento.
Troppi convergenti segnali perchà© l’Europa continui a cullarsi nella favola della «Bella addormentata nel bosco», per almeno due motivi: da una parte perchà© con queste cattive compagnie l’Europa tanto «bella» non è e, dall’altra, perchà© da nessuna parte s’intravvede un principe azzurro che possa venirla a liberare. Lo potranno fare solo i popoli europei, molti e diversi tra di loro, se solo riescono a ricordarsi da quali antiche migrazioni vengono e a quale prezzo hanno imparato a coesistere pacificamente tra di loro, dopo secoli di guerre fratricide.

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