La stagione dei populismi

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Un anno fa, giorno per giorno, era stata attirata l’attenzione su una tendenza populista che si andava pericolosamente delineando in Europa. A qualcuno parve un allarmismo infondato: tra questi, oltre chi occupava le poltrone di potere e sottopotere, anche chi andava dicendo che la crisi era ormai finita, anche se poi a ben guardare in gran parte si trattava in entrambi i casi degli stessi soggetti.
I segnali erano già   chiari allora: venivano dagli esiti elettorali in Paesi Bassi e Belgio prima, in Slovacchia e Romania poi. Erano risultati intrisi di populismi tra loro diversi, da quelli più sornioni a quelli più rozzi e violenti, ma tutti caratterizzati da derive plebiscitarie verso la pancia dell’elettorato verso il quale brandivano la bandiera del razzismo in nome dell’identità   nazionale.
La primavera del 2010 portಠaltre conferme con le elezioni in Ungheria dove, Jobbik, il partito razzista con toni antisemiti passಠdal 2% al 16,7% e con le elezioni in Polonia dove perಠvenne provvisoriamente frenato il diffuso nazionalismo. Nello stesso periodo, consultazioni amministrative davano risultati analoghi in Francia e in Italia e, non meno inquietante e sorprendente, un segnale analogo arrivava dalle mitiche democrazie scandinave in Danimarca e in Svezia.
Arriviamo così agli appuntamenti elettorali del 2011: sommovimenti importanti in Germania anche se con risultati modesti per le destre, di nuovo forti spinte populiste nelle recenti elezioni amministrative in Francia e in quelle politiche in Finlandia.
In Francia si è registrato un forte balzo in avanti del partito-famiglia di Le Pen, propugnatore di un populismo razzista e anti-immigrati trasmesso come un virus di padre in figlia: guida infatti adesso il movimento la figlia del fondatore, Marine, che gli ultimi sondaggi per il primo turno delle elezioni presidenziali francesi danno largamente al di sopra del 20%, davanti a tre degli attuali possibili quattro candidati socialisti.
In Finlandia ha destato scalpore il clamoroso successo del partito dei «Veri Finlandesi», passati dal 4% del 2007 al 20% dello scorso 17 aprile, grazie ad una campagna anti-europea contro l’euro e la solidarietà   verso i Paesi in difficoltà   dell’Europa meridionale.
Se a questi risultati elettorali si aggiunge quanto avvenuto recentemente in Ungheria, allora il quadro che si va profilando non lascia più molti dubbi sulle tendenze in corso in Europa.
In Ungheria, il 18 aprile, è stata adottata una nuova Costituzione, tutta incentrata sull’orgoglio nazionale, da una maggioranza che, come scrive Robert. Friss su un giornale ungherese, «confonde à¢à¢â€š¬à‹Å“popolo’ e à¢à¢â€š¬à‹Å“nazione’ e li sacrifica sull’altare della lotta di potere. Quando lo ritiene opportuno, colloca il Popolo davanti allo Stato. Immagina che lo Stato (l’interesse di tutti) sia qualcosa che puಠessere imposto dall’alto alla collettività   dei cittadini. Abbandona le tradizioni europee e crea le condizioni per una politica autoritaria. Secondo la tradizione europea, la costituzione è la cornice decisa dall’insieme dei cittadini per essere principio ispiratore della vita comunitaria. Poichà© non viviamo in un’epoca rivoluzionaria, questa cornice non puಠessere definita da una maggioranza parlamentare, in quanto caratteristica della democrazia è che la maggioranza parlamentare cambi, mentre caratteristica della costituzione è che essa sia perenne e si metta al servizio degli interessi di tutta la comunità  , a prescindere dalle variazioni politiche».
I dati elettorali ricordati e la lunga citazione sulla svolta conservatrice e nazionalista ungherese esimono da ormai ripetute considerazioni sulla deriva populista in atto anche nel nostro Paese, attacchi sconsiderati alla Costituzione compresi.
Molto si è farneticato in questi giorni sull’uscita dell’Italia dall’Europa. Forse lo scenario è più complesso e la prospettiva non meno inquietante.
E se fosse che il nostro Paese è già   entrato da tempo nell’altra Europa che si va formando, quella della rottura della solidarietà   e della coesione, dei nazionalismi esasperati, del rifiuto ad accogliere gli immigrati scomodi, della democrazia rivisitata in chiave autoritaria? Non stiamo già   forse assistendo, per citare Carlo Azeglio Ciampi in una recente intervista, «a un decadimento morale, sia nell’etica individuale che nell’etica istituzionale»?
Dalla risposta a questa domanda, i cittadini non sudditi potranno trovare coraggio e alleanze per mettere mano a un cambiamento ormai divenuto urgente.

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