Il difficile semestre della presidenza francese dell’UE

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Tutto si puಠdire del semestre attualmente in corso di presidenza francese dell’Unione europea, meno che non sia denso di avvenimenti perlopiù problematici. Cominciato in salita all’indomani del «no» irlandese al Trattato di Lisbona, ha avuto un breve momento di festa con il Vertice di inizio luglio dei Paesi del Mediterraneo per incappare un mese dopo nella delicata crisi caucasica con l’invasione russa della Georgia. Nonostante l’intervento tempestivo della presidenza di turno per bloccare il conflitto e imporre alle due parti una difficile tregua, la pacificazione dell’area ha richiesto tempo ed è tuttora in attesa di un compimento. Nemmeno il tempo di tirare il fiato ed è esplosa una gravissima crisi finanziaria di dimensione mondiale che già   covava da tempo e che si andava saldando pericolosamente con una caduta di crescita economica ai limiti della recessione.
E così la prima metà   di ottobre ha visto la presidenza francese affannosamente impegnata a riunire Vertici di urgenza, prima in preparazione del G7 a Washington, poi un precipitoso «direttorio» a quattro (Francia, Germania, Regno Unito e Italia), per poi trovare una configurazione istituzionale più adeguata con il Vertice straordinario dei Quindici Paesi della zona euro il 12 ottobre, finalmente in grado di adottare misure radicali orientate ad affrontare di petto la crisi del sistema bancario europeo. Sul risultato a medio termine di quelle decisioni è presto per trarre conclusioni: ma già   fin d’ora appare evidente il pesante impatto, che rischia di aggravarsi nel tempo, sulle prospettive di crescita e di salvaguardia dell’occupazione.
Lo conferma la recente ed eccezionale disponibilità   manifestata dalla Commissione europea a consentire un «provvisorio» sforamento dei parametri del Patto di stabilità   per quanto riguarda la soglia del 3% del deficit con tutte le conseguenze che tale deriva avrà   sul debito pubblico, in particolare in Italia dove segna il livello più alto dei Paesi UE, e sulla pressione fiscale difficile da ridurre in queste condizioni.
Questo il quadro che ha accolto a metà   ottobre il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo a Bruxelles con un ordine del giorno denso di temi difficili, oltre quello inevitabile di condivisione delle misure adottate, qualche giorno prima, nel Vertice ristretto dei Paesi dell’Eurogruppo.
In tale contesto di non risolta turbolenza finanziaria, con una pesante recessione alle porte e segnali di crisi occupazionale in prospettiva, è venuta sul tavolo del Consiglio europeo una priorità   della presidenza francese, un punto contemporaneamente urgente e controverso: la lotta al cambiamento climatico e il pacchetto di misure che prevede, entro il 2020, la riduzione del 20% delle emissioni del gas serra, il raggiungimento del 20% di ricorso ad energie rinnovabili e l’aumento del 20% dell’efficienza energetica.
Invocando l’aggravamento della situazione economica e la prospettiva della recessione alcuni Paesi, in particolare Italia e Polonia e i rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali europee dell’industria hanno sollevato pesanti riserve sulla praticabilità   di quegli obiettivi proposti dalla Commissione nel corso del 2007 e, senza esplicitamente rinnegarli, chiedono che vengano rivisti alla luce di quanto sta accadendo nell’economia mondiale ed europea.
Confliggono in questo caso le esigenze dell’industria europea e quelle del pianeta per il quali molti osservatori temono si giunga ad una soglia di deterioramento irreversibile e gravido di conseguenze per le generazioni future.
A Bruxelles il Consiglio europeo ha faticosamente raggiunto un compromesso che riconosce le attuali condizioni di emergenza, ma mantiene saldi gli obiettivi lasciando tuttavia presagire nelle decisioni rinviate a dicembre una maggiore flessibilità  .
Un atteggiamento che fa il paio con la flessibilità   consentita in merito al rientro dal deficit e dal debito: qui mettendo a rischio il risanamento dei conti pubblici e con esso le prospettive di una ripresa stabile della crescita e, secondo alcuni, la solidità   della moneta unica; nel caso del cambiamento climatico rinviando a giorni migliori una lotta al degrado, con il rischio di arrivare a destinazione fuori tempo massimo.

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