Quale perimetro per l’Unione Europea di domani

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Se sono priorità importanti per la futura Unione Europea la Pace, il Pianeta e le Persone, sarà anche indispensabile per perseguirle tenere d’occhio lo spazio entro il quale potranno essere sviluppate: un’altra priorità, quella del Perimetro dell’Unione Europea di domani.

Il nostro Vecchio continente è piccola cosa sulla carta del mondo e, dentro questo spazio limitato di “piccolo promontorio dell’Asia”, l’Unione Europea ha dimensioni ancora più ridotte, poiché molti Paesi non ne fanno ancora parte.

È dalle ferite profonde inferte all’Europa dalle due guerre mondiali che stiamo cercando di riunificare il nostro continente e, dagli anni ‘50 ad oggi, di strada ne abbiamo fatta molta: siamo partiti in sei nel 1951, oggi siamo 27 e ci stiamo preparando per diventare almeno 35. Non saremo mai 50 come gli Stati Uniti, ma la nostra storia è diversa, più complessa e anche più ricca, il nostro traguardo è diventare un Comunità “unita nella diversità”, ma riuscirci è una parola.

Ad un primo sguardo verrebbe da dire che negli anni l’Unione allargandosi si è arricchita di risorse e ambizioni, ma senza riuscire ancora a rafforzarsi politicamente quanto sarebbe necessario per contare in questo mondo. 

Nel corso degli allargamenti, dal 1973 quando entrarono Regno Unito, Irlanda e Danimarca fino a quello della Croazia nel 2013, ci siamo ampliati prima verso nord e poi verso est, direzione nella quale si profilano i possibili ma complessi futuri allargamenti, dai Paesi balcanici all’Ucraina, Moldavia e Georgia, nell’attesa di cosa vorranno liberamente fare Norvegia, Islanda e Svizzera, senza dimenticare il ritorno forse un giorno del Regno Unito, che sta pagando cara la sua azzardata secessione del 2020 e la ripresa, oggi impossibile, del negoziato interrotto con la Turchia.

Ai nostalgici del passato può brillare il ricordo di “piccolo è bello”, a chi pensa al futuro viene qualche brivido pensando ai costi, non solo economici ma anche politici, per diventare grandi. Eppure è questa la strada che l’Unione Europea ha deciso di percorrere ed è in queste future nuove dimensioni territoriali che dovranno essere affrontate le sfide di domani.

A questi interrogativi può venire in soccorso un disegno da anni presente nell’Unione Europea, l’opzione di una Comunità a più velocità o, con altra formula, a cerchi concentrici. Il tema sta tornando sul tavolo e due proposte recenti lo hanno riportato all’attenzione. 

Per limitarci a tempi recenti l’opzione è ritornata al Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo UE nel giugno del 2022, quando è stato condiviso il progetto di Emmanuel Macron per una “Comunità politica europea”, territorialmente allargata a 47 Paesi europei, ma articolata al suo interno per far posto ad una avanguardia di un nucleo centrale che assomiglia molto al disegno che si appresta a presentare, al Consiglio europeo, dopo il voto per il Parlamento a giugno, Mario Draghi con il suo “Rapporto sulla competitività”. Già è stato preannunciata l’urgenza di una svolta radicale per l’Unione di domani, per la quale non si può aspettare la riforma dei Trattati e nemmeno pretendere da subito il consenso di tutti e allora per avviare questa svolta bisognerà provarci con chi ci sta con chi ci sta.

Né deve stupire troppo che Draghi pensi a un nucleo “federale” dopo aver sperimentato, tra il 2011 e il 2019, la presidenza della Banca centrale europea, dove i componenti sono 20 sui 27 Paesi UE e dove si vota a maggioranza: a Francoforte ha funzionato, perché non provare anche a Bruxelles?

L’ostacolo sono gli attuali Trattati che, per le politiche fondamentali, sono vincolati al voto all’unanimità, né si può aspettare i tempi della loro riforma. Ma il Trattato di Lisbona consente di attivare le “cooperazioni rafforzate” che permettono a un minimo di 9 Stati membri di procedere ad una integrazione più avanzata all’interno dell’Unione Europea, qualora risulti evidente che l’Unione nel suo insieme non sia in grado di conseguire gli obiettivi di tale cooperazione entro tempi ragionevoli,come di tutta evidenza è il caso per una politica comune della difesa.

Chissà che finalmente possa aver ragione Gianbattista Vico, quando ci ricordava che “pareano traversie ed erano opportunità”.

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