Se l’informazione rende un cattivo servizio alla comunità

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Un fantasma si aggira per l’Europa: la disinformazione politica tra pubblicità e propaganda. Come se già non bastasse la scarsa informazione offerta ai cittadini sull’Unione Europea, in particolare in questa campagna elettorale, adesso si aggiungono e crescono a vista d’occhio anche veicoli di disinformazione, non sempre facili da smascherare e pratiche dubbie di finanziamento all’informazione politica.

È purtroppo un fenomeno che interessa tutta l’Unione Europea, cosa che non consola vedendola all’opera anche in Italia dove ampi segmenti di informazione sono a servizio di chi detiene il potere e se ne avvale, come avvenuto in casi recenti anche dalle nostre parti, per comprare “campagne promozionali” che, sotto mentite spoglie, vengono in soccorso a politici e amministratori di turno, inquinando senza scrupolo i dati reali del territorio, come testimonia il forte lievitare dei costi destinati a queste campagne, più o meno dichiarate.

L’Unione Europea era già intervenuta sul tema con una Risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 27 febbraio scorso sulla proposta di “Regolamento relativo alla trasparenza e al targeting della pubblicità politica”. Il tema è complesso e lo svolgimento non può evitare misure tecniche che non debbono però impedire di coglierne gli elementi essenziali.

Si parte dalla constatazione che “non è sempre facile per i cittadini riconoscere i messaggi di pubblicità politica ed esercitare i diritti democratici in maniera consapevole… La pubblicità politica può essere un vettore di disinformazione”. Segue un’analisi accurata delle tecniche adottate per raggiungere bersagli mirati (targeting), ricordando che configura una pubblicità politica “la promozione, pubblicazione, consegna o diffusione di un messaggio inteso a influenzare l’esito di un’elezione o referendum”: di qui l’esigenza di definire delle regole “a livello dell’Unione, nazionale, regionale o locale”.

Si tratta di tutta evidenza di un’impresa complicata: l’Unione Europea punta da una parte a dettare regole non sempre di facile applicazione, ma dall’altra chiama anche in soccorso “la organizzazioni della società civile, le organizzazioni dei diritti umani e di vigilanza, i giornalisti e altri soggetti interessati (che) hanno un ruolo cruciale da svolgere a tale riguardo” come, in recenti casi italiani, potrebbe essere anche l’Ordine dei giornalisti. 

Basta questo appello alla società civile per capire quali siano i limiti dell’applicazione delle leggi e quanto diventi indispensabile rafforzare la democrazia partecipativa, attivata dai “corpi intermedi”, per salvaguardare quello che resta della democrazia rappresentativa attiva nelle Istituzioni democratiche.

Dovrebbe essere sufficientemente chiaro come la mala-informazione  costituisca un virus che inquina la democrazia, minando la fiducia nelle Istituzioni quando si piegano a servizio di interessi particolari.

Manca meno di un mese alle elezioni del Parlamento europeo l’8 e il 9 giugno prossimo, il quadro comunitario è in crescente fibrillazione, quello nazionale non lo è da meno, segnato com’è da inchieste giudiziarie che mirano, tra l’altro, a chiarire la correttezza dei rapporti tra Istituzioni regionali e locali nella realizzazione di progetti europei e nella fruizione di contributi privati, destinandoli tra l’altro a “campagne promozionali” cresciute rapidamente di dimensioni finanziarie in questi ultimi tempi di competizioni elettorali di varia natura. 

È certamente meritoria l’opera della magistratura, lo sarebbe anche l’impegno dei mezzi di comunicazione per una maggiore trasparenza, trovando il coraggio di distinguere tra “vendere il giornale” e “vendersi”.

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