Europei: uniti nella diversità  

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C’è da scommetterci: grande continuerà   a essere la confusione sotto il cielo sul tema »rumeni sì, rumeni no» o «rumeni forse, rom no», dopo i gravissimi fatti di questi ultimi tempi a Roma e in altre regioni d’Italia.
Non che non ci sia materia di riflessione, vista anche la diffusa voglia di razzismo che si manifesta in questo nostro Paese dove fino a ieri molti si cullavano nell’illusione che gli italiani non fossero razzisti. Salvo diventarlo appena gliene si offre il pretesto, come purtroppo sta ormai avvenendo troppo spesso.
Il tema è certamente di quelli che meritano analisi e confronti approfonditi e che non si affrontano nà© con semplificazioni irresponsabili nà© ancor meno con spedizioni punitive al grido di «Italia agli italiani», versione nemmeno tanto diversa da quel non dimenticato «Italiani, a noi!».
Per cominciare, sarebbe bene riflettere sulla parola «straniero»: nei dizionari è scritto che si dice di chi è «di altra e diversa nazione» o di chi «ha cittadinanza diversa da quella italiana». Il richiamo a due altre parole, tutt’altro che banali come «nazione» e «cittadinanza» definisce lo straniero in negativo, dice quello che non è. Perchà© sia chiaro, la dose è rincarata ricorrendo in entrambi i casi a una terza parola, dal significato ambivalente ma perlopiù percepito come negativo: lo straniero è «diverso».
Ci sono in queste definizioni tutti gli ingredienti per una miscela esplosiva che, di diverso in diverso, attacca alla base il concetto di uguaglianza, negandola a chi viene da un’altra nazione, ha un’altra cittadinanza, ha un’altra lingua e via seguitando.
Perchà© la diversità   non minasse il valore universale dell’uguaglianza il Novecento europeo, assassino su larga scala delle «diversità  », ha messo mano a un’impresa inedita e audace: quella di un’Unione europea tutta fatta di minoranze e ricca di molte diversità  , fondata sull’universalità   dei diritti e dei doveri, dotata di una cittadinanza europea e di politiche di inclusione di cui sono destinatari tanto i rumeni quanto gli italiani e tutti gli altri popoli dell’UE, tra loro non più stranieri.
L’Italia, che dell’Europa è Paese fondatore e che ha conosciuto una dolorosa e massiccia emigrazione, non puಠdimenticare quanto hanno sofferto i suoi cittadini rifiutati perchà© «stranieri» nà© quanto sia da tempo errato definire «immigrati» tanto gli italiani residenti negli altri Paesi dell’UE che i rumeni in Italia, oggi concittadini in questa Unione europea diventata casa comune di tutti i popoli che la compongono
Dall’inizio di quest’anno, infatti, i rumeni fanno parte di questa casa comune: non più immigrati nà© stranieri, ma semplicemente nostri concittadini e come noi italiani titolari di diritti e di doveri, vincolati dalle stesse leggi e suscettibili di analoghe sanzioni in caso di trasgressione. àˆ bene che lo ricordino i nostri legislatori, tentati oggi di usare questa vicenda per guadagnare facili consensi agli occhi di una popolazione impaurita.
Nà© basta invocare il valore della «tolleranza», subito declinata come strategia della «tolleranza zero» e messa al servizio della repressione e che qualcuno vorrebbe tradotta con inaccettabili misure come le espulsioni collettive, dimenticando che sempre la responsabilità   è personale.
Non a caso la voce della Chiesa si è fatta sentire con ben diverso linguaggio, invocando non tolleranza ma accoglienza, ricordando che la convivenza e l’incontro dei popoli si fonda su due pilastri: la garanzia di uguali diritti e doveri e la tutela della sicurezza per tutti.
Nel «Progetto di costituzione europea», affondato allegramente da sciagurati opposti estremismi, il motto era «Uniti nella diversità  » e la Carta dei diritti fondamentali una parte essenziale del Trattato.
Poi è andata come è andata, l’UE ha continuato ad allargarsi ma senza che crescesse una cultura della convivenza e della «concittadinanza». E così ora siamo in mezzo al guado: l’Italia, nonostante le direttive europee liberamente sottoscritte, è a un passo dal non considerare i rumeni cittadini europei a tutti gli effetti. Oppure solo se se sono utili alla nostra economia e ad assistere i nostri anziani, solo se sono buoni e docili, magari lavorando in nero o con paghe da fame. Purtroppo, perà², tra loro ci sono anche i cattivi, quelli che calpestano regole e legalità   proprio come avviene tra gli italiani.
Non è il momento di cedere a tentazioni discriminatorie. Oppure anche qui, per dirla con Orwell, «tutti uguali ma qualcuno più uguale degli altri»? Non ai posteri ma all’Europa, e oggi, l’ardua sentenza su come coniugare uguaglianza e diversità  , cittadinanza e nazionalità  , diritti e doveri, sicurezza e libertà  .
Prima che sia troppo tardi e straniero diventi sinonimo di nemico.

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