Siria: sette anni di guerre

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Sono trascorsi esattamente sette anni da quel 15 marzo 2011, quando a Damasco e in altre città, i cittadini siriani sono scesi in piazza per dire ad alta voce e, per la prima volta, la loro opposizione al regime di Bachar al Assad. Un movimento di protesta nato sulla scia delle “Primavere arabe” che sembrava offrire a uomini e donne l’opportunità di esprimere una dignitosa e libera protesta nei confronti di un regime dittatoriale.
La risposta di Bachar al Assad è stata immediata e violenta ; la repressione messa in atto ha dato il via ad una guerra civile che, con il passare del tempo si è trasformata in tante altre guerre : guerra per procura, guerra contro lo Stato islamico, guerra internazionale, guerra contro i curdi. La Siria, da quel giorno, è infatti diventata il campo di battaglia di tutte queste guerre in cui si affrontano attori regionali e grandi potenze globali in un complicato gioco di alleanze e opposizioni, di divergenti interessi economici e di divisioni etniche e religiose. Su questo intricato scacchiere mediorientale sono presenti le forze armate di Russia, Iran, Turchia, le milizie libanesi di Hezbollah, gli Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, senza dimenticare Israele con i suoi raid contro basi militari iraniane in Siria.
Queste guerre non hanno incontrato ostacoli di sorta sul loro cammino di morte e distruzione : lasciano un Paese ormai in macerie e una popolazione che conta più di 500.000 vittime, di cui 300.000 civili. Una popolazione costretta all’esilio nei Paesi vicini o obbligata ad attraversare il Mediterraneo in cerca di una protezione internazionale in Europa (circa sei milioni di persone). Un disastro umanitario che non ha precedenti nella recente storia contemporanea.
Eppure Bachar al Assad continua nella sua folle corsa alla distruzione e all’annientamento del suo Paese e del suo Popolo. Sostenuto dalla Russia e dall’Iran, è riuscito a sfuggire a qualsiasi condanna da parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU, mettendo cosi’ a nudo non solo la credibilità e la debolezza di un ‘Istituzione internazionale che non ha saputo proteggere la popolazione civile,ma anche la forza del diritto internazionale. Nessun rispetto per i diritti umani, per la Convenzione di Ginevra, per la missione dei convogli incaricati di portare assistenza alla popolazione intrappolata nelle città assediate come ad Aleppo nel 2016, e, in questi ultimi giorni nella Goutha orientale e ad Afrin, la città curda accerchiata dai turchi.
Guerre che hanno giustificato tutte le violenze, a partire dal superamento di immaginarie linee rosse con l’uso di armi chimiche contro una popolazione inerme fino a vanificare ogni sforzo diplomatico, vero o di facciata che sia, volto a delineare un tentativo di negoziato, di dialogo o di compromesso su un cessate il fuoco o su una prospettiva di pace. Ad oggi, l’unico orizzonte è ancora la guerra, a nord intorno ad Afrin, dove la Turchia sta combattendo la sua guerra contro i curdi e a sud, nella Goutha orientale, dove le forze governative di Bachar al Assad continuano la loro offensiva militare contro l’enclave “ribelle”.
Tutta questa catena di guerre si è svolta e si svolge di fronte alla grave impotenza della comunità internazionale e all’assenza politica dell’Europa. In questo silenzio si percepisce soltanto il dolore di sette anni di immani sofferenze patite da una popolazione che sta pagando ben caro quel soffio di libertà respirato nel lontano 15 marzo 2011.

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