La Turchia spettatrice nel teatro di guerra in Medio Oriente

1128

Le bandiere nere dello Stato islamico (IS) continuano imperterrite a sventolare e a progredire nella loro guerra, alla conquista e alla costituzione di un Califfato sunnita i cui confini sono stati annunciati solo lo scorso giugno. Da allora è iniziata una vera e propria guerra che oggi si gioca sull’occupazione, da parte dell’IS, di territori fra Siria e Iraq e dove l’ultima battaglia in corso ha come obiettivo la conquista della città curda siriana di Kobané, a poche centinaia di metri dalla frontiera con la Turchia. Pochi mesi di guerra che hanno rivelato non solo la ferocia dei jihadisti, la loro forza e l’importanza dei loro equipaggiamenti militari, la loro determinazione e la graduale adesione di altri gruppi estremisti al loro inquietante progetto, ma anche tutta la difficoltà e l’inadeguatezza dei mezzi della coalizione internazionale a fermare la loro offensiva. Senza parlare poi di tutte le sofferenze causate dagli esodi delle popolazioni in fuga.

Di fronte a questo scenario e proprio quando infuria la battaglia per la conquista di una città come Kobané da parte dell’IS, ormai abbandonata dai suoi abitanti, difesa a terra solo da forze curde quasi allo stremo e, dai cieli, dall’aviazione della coalizione (Stati Uniti in testa), nasce il grande interrogativo sull’atteggiamento della Turchia, che non dà segni, per il momento, né di intervenire, né di lasciarsi coinvolgere nella coalizione internazionale per tentare di fermare la guerra dei jihadisti sunniti. E questo malgrado una risoluzione del Parlamento turco volta ad autorizzare il Governo a far uso della forza in Siria. Non solo, ma la Turchia ha ribadito proprio in questi giorni il suo rifiuto ad ampliare l’accordo, in particolare con gli Stati Uniti, sull’uso delle sue basi militari a sud del Paese per missioni che non siano di natura logistica o umanitaria. Insomma, sembra un protrarsi di quella politica ideata dall’allora Ministro degli esteri, ora primo Ministro Ahmer Davutoglu “dello zero problemi con i vicini”, politica chiaramente superata dall’irrompere sulla scena di una nuova realtà e nuovi squilibri regionali che chiamano insistentemente la Turchia ad una presa di posizione. L’atteggiamento di oggi della Turchia, chiamata a partecipare ad una coalizione internazionale che vede coinvolti Paesi della regione, lei compresa, più o meno responsabili della nascita e della crescita dello Stato islamico, pone precise condizioni: la creazione di una zona cuscinetto e di una no – fly zone nel nord della Siria e la fornitura di armi ai ribelli siriani con l’obiettivo di deporre Bachar al Assad, oggi il grande nemico di Ankara. Una condizione questa difficilmente accettabile dagli Stati Uniti, il cui obiettivo principale è quello di combattere lo Stato islamico e non quello di abbattere il regime di Damasco, diventato per l’occasione uno scomodo alleato sostenuto dalla Russia. Con questi venti di guerra fredda che soffiano dall’Ucraina, è molto difficile immaginare una risposta positiva alle richieste della Turchia.

Ma vi è una seconda grande ragione dell’immobilismo della Turchia di fronte al dramma di Kobané. È il timore che salvando quella città ai suoi immediati confini, si possa contribuire a rafforzare un Kurdistan siriano autonomo, come lo è già da vari anni quello iracheno. La prospettiva di alimentare le velleità indipendentiste anche della sua consistente minoranza curda e quelle di un futuro Stato indipendente del Kurdistan in Medio oriente, spiegano solo in parte l’attuale cinismo turco, incapace di valutarne le conseguenze a lungo termine, sia per la stabilità interna del Paese che per quella di tutta la regione.

La Turchia è oggi uno spettatore sempre più isolato sulla scena di guerra che si svolge in Medio oriente. Ma non solo; questa sua politica rimane difficilmente comprensibile agli occhi della comunità internazionale che vede questo grande Paese in una profonda incertezza sulle sue scelte strategiche a lungo termine. Non ultima quella, di reciproca responsabilità, di un definitivo allontanamento dalla prospettiva di un’adesione all’Unione Europea.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here