Obama: sperare senza illudersi

858

Il 20 gennaio 2009 segna una data storica per gli Stati Uniti d’America e forse la segnerà   anche per il mondo, Europa compresa. L’arrivo alla presidenza USA di Barak Obama non è solo, anche se forse troppo, un evento mediatico: puಠessere soprattutto una svolta nel costume politico di una grande democrazia in difficoltà   di consenso popolare negli ultimi anni e di convivenza razziale e l’avvio di una fase geopolitica nuova per il mondo intero.
Promesse chiare in questo senso sono state annunciate in un’intensa campagna elettorale e alcune prime indicazioni giungono al momento di un insediamento atteso da troppo tempo rispetto al precipitare degli eventi, in particolare per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese e la risposta da dare ad una crisi economica di dimensioni finora sconosciute.
Tutto questo ha fatto crescere nel mondo le attese di quanti, senza rinunciare alle proprie responsabilità  , sono consapevoli del ruolo degli USA nelle vicende del mondo come, non sempre felicemente, hanno dimostrato esperienze passate, in particolare durante l’Amministrazione Bush.
Verrà   adesso il tempo della verifica e delle prime speranze disattese, anche tenuto conto dell’eccezionale groviglio di problemi che il nuovo giovane presidente si trova sul tavolo, sia in politica interna che estera.
All’interno, Obama deve affrontare una situazione economica senza precedenti: seduto su un debito pubblico equivalente all’intera ricchezza nazionale e su un enorme debito privato contratto da un popolo allegramente consumista e abituato a vivere a credito, lo aspetta un’industria manifatturiera tendenzialmente obsoleta come testimonia il settore dell’automobile e generatrice di milioni di disoccupati. Magari sarà   per Obama anche l’occasione per scelte politiche ecosostenibili e il ritorno all’adesione al protocollo di Kyoto, siglato da Clinton e rinnegato da Bush.
Alle sue spalle, Obama ha le macerie di un sistema finanziario e bancario di cui non si conoscono ancora tutti i debiti e, davanti, milioni di elettori che aspettano da lui che faccia pulizia e rimetta in moto l’economia. Tutti compiti che mettono i brividi, ma che non sono i soli.
In politica estera, l’eredità   lasciata da George W. Bush potrebbe difficilmente essere più pesante: il problematico rientro delle truppe USA dalla sciagurata guerra in Iraq, l’intervento militare in Afghanistan che si trascina da anni senza apprezzabili risultati per la lotta contro il terrorismo e, certo non ultimo grave problema, quello dei conflitti, in atto o latenti, nell’area mediorientale.
àˆ su questo tragico teatro di guerra con migliaia di vittime negli ultimi anni che si attende la prima significativa svolta della politica estera USA, più orientata al dialogo, diretto o indiretto, con i diversi attori del conflitto: con un’attenzione che sarà   confermata alla sicurezza di Israele ma anche alle ragioni dei palestinesi e al ruolo di Paesi vicini come Libano, Siria e, soprattutto, Iran. Con quest’ultimo Paese, collocato da Bush nell’»asse del male», Obama difficilmente potrà   allentare la pressione sulla «minaccia nucleare», ma rafforzerà   l’iniziativa diplomatica impegnando gli USA in un dialogo diretto con gli iraniani.
Economia, ecologia e politica estera sono anche i tre assi principali su cui misurare la svolta nelle relazioni UE-USA, non proprio distese durante l’Amministrazione Bush.
Qui anche l’Europa è chiamata a fare la sua parte, prima assumendosi le proprie responsabilità   con più coraggio e orgoglio di quanto abbia fatto finora, poi esigendo dagli USA il rispetto dovuto ad un partner di cui Obama ha bisogno per rientrare in un mondo di relazioni multilaterali dopo la stagione «arrogante» di Bush.
Gli osservatori concordano nel ritenere che Obama aprirà   all’UE, ma più d’uno di loro è scettico perಠsulla capacità   europea di rispondere con una sola voce: vale per le misure anti-crisi tentate dal protezionismo (per la verità   su entrambe le sponde dell’Atlantico), per le molte deroghe (tra le quali, quelle italiane) al pacchetto energia-clima fino alle posizioni divergenti in politica estera, sia che si tratti del problema mediorientale, dei rapporti con la Russia o delle alleanze in materia di difesa e sicurezza.
L’UE è reduce da un semestre di forte dinamismo sui tre assi citati, grazie anche alla presidenza di turno francese, ma diverso è il clima con la modesta presidenza ceca. Una congiuntura che potrebbe favorire ambizioni nazionali della Francia, del Regno Unito o della Germania a proporsi come interlocutori privilegiati di Obama, un pericolo che non esiste per l’Italia di questi tempi, comparsa e non protagonista nella politica internazionale.
Il rischio di muoversi in ordine sparso è tutt’altro che infondato: per l’UE sarebbe un’occasione persa e per il mondo una causa in più di instabilità  . E di instabilità  , economica e politica, ce n’è già   troppa perchà© l’UE concorra ad aggravarla per mancanza di coraggio e di buon senso, magari confidando in un «miracolo americano» che potrebbe rivelarsi per l’Europa una pericolosa illusione.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here