Le differenze che ci allontanano dall’Europa

1127

La ricchezza dell’Europa sono le sue differenze. Ma non tutte: ci sono differenze che ci arricchiscono e tra loro si completano, ve ne sono che impoveriscono e che portano in sà© i germi del decadimento di popoli e culture. Convivono felicemente in questa nostra Europa tradizioni e sensibilità   diverse, una molteplicità   di lingue e di creazioni artistiche, attività   economiche peculiari ad alcune regioni e, anche, differenti assetti istituzionali e giuridici nei Paesi membri dell’UE.
Sono differenze che non impediscono all’Europa di crescere come comunità   rispettosa dei molti popoli che la compongono: è quello che avviene quando si partecipa ad un comune sentire democratico fondato sul principio di legalità   e il rispetto di regole liberamente condivise. Ma ci sono anche differenze che minano la comunità   e ne mettono in pericolo la sua stessa sopravvivenza: avviene quando le regole vengono calpestate da chi si ritiene al di sopra della legge, allontanandosi dal patto democratico e dal rispetto delle sue Istituzioni.
Non rispetta le regole chi corrompe e chi si fa corrompere, è fuori dal patto democratico chi stravolge il rapporto tra le Istituzioni dello Stato alterando il delicato equilibrio tra i suoi diversi poteri. Accade quando il pur legittimo potere esecutivo – il governo di un Paese – non rispetta il potere legislativo che la Costituzione affida al Parlamento, soffocando con l’abuso del voto di fiducia il confronto tra maggioranza e opposizione e quando pretende di avere a suo servizio il potere giudiziario, garante dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.
C’è un Paese oggi in Europa che si segnala ogni giorno di più per queste differenze rispetto ai comuni principi di legalità   in un’Unione Europea che, prima di ogni altra cosa, è una comunità   di diritto, che di legalità   vive.
Non sono differenze che arricchiscono l’Europa nà© i propri cittadini quelle di un Paese dove i governanti impongono al Parlamento leggi «ad personam» per assicurarsi l’impunità  , dove la corruzione dilaga e non sono che «birbantelli» quelli che ci derubano, dove si confonde «assoluzione» con «prescrizione», dove si vorrebbe far credere che possono esistere corrotti senza corruttori, dove i magistrati che fanno il loro dovere sono chiamati «talebani», dove chi usa gli strumenti previsti dalla legge per difendere la nostra sicurezza è accusato di creare uno «stato di polizia».
Sull’argomento è dovuto intervenire ancora una volta, con parole chiare anche se troppo spesso inascoltate, il presidente Giorgio Napolitano ricordando che questi comportamenti e, in particolare, le continue aggressioni alla magistratura «rischiano di alimentare nuovamente pericolose tensioni tra i poteri e organi dello Stato».
Nelle stesse ore in cui veniva assassinato un servitore dello Stato, morto in Afghanistan anche per la nostra sicurezza, da parte di «veri talebani», erano accusati di essere «talebani» magistrati che qui lavorano per la nostra sicurezza, spesso in condizioni difficili e non senza rischi per la loro vita.
Che poi questo linguaggio farneticante sia riesploso proprio a Torino, dove i magistrati hanno conosciuto e sconfitto la violenza del terrorismo e in questi giorni sono alle prese con nuovi inquietanti episodi di violenza, supera ormai i limiti della decenza e la dice lunga sullo stato di salute della nostra democrazia.
Ormai non sono solo più i conti pubblici fuori controllo, lo sport nazionale dell’evasione fiscale, le dimensioni abnormi dell’economia sommersa, i mille trucchi dell’occupazione precaria, il decadimento dei nostri sistemi formativi, lo sfruttamento dell’immigrazione e l’illegalità   diffusa a portarci sui bordi dell’Europa.
Adesso, in un crescendo che sembra non avere limiti, ci sta portando ai bordi dell’Unione Europea anche chi dovrebbe rappresentarci tutti, in nome di quelle stesse regole che ne legittimano l’attuale responsabilità   politica, regole in parte disinvoltamente calpestate.
L’Europa e il mondo, attoniti, ci stanno a guardare e si chiedono che cosa siamo diventati in questi anni, dov’è che ci siamo smarriti e quando ritroveremo la strada, se non della nostra »leggendaria» italica creatività  , almeno quella del semplice buon senso capace di aprirci gli occhi e di farci agire di conseguenza.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here