E adesso più Italia e più Europa

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Con le dimissioni del governo l’Italia ha girato pagina, ma adesso davanti abbiamo il libro tutto intero con le pagine non belle scritte in questi ultimi lunghi anni e le pagine bianche difficili da scrivere fin dai prossimi giorni.
In questo libro un capitolo importante porta il titolo «Europa» e non è sicuramente quello più edificante e resta per il futuro uno di quelli che richiederanno più impegno per essere riscritti.
In questi anni, per molti osservatori, l’Italia ha rischiato di passare, per l’Europa, da «fondatore» a «affondatore» e non è un caso che per il Presidente Napolitano abbia contato molto nella scelta di Mario Monti il suo forte profilo europeista e il credito internazionale dei suoi colleghi: non solo per rassicurare i mercati ma anche per mandare a dire che adesso l’Italia riprenderà   la strada dell’Europa alla ricerca della credibilità   perduta.
In Europa ci sarà   molto da fare per l’Italia, a cominciare dal molto che dovremo fare noi a casa nostra, per risanare i conti pubblici passando per il risanamento di una cultura e di una pratica politica che ci hanno fatto derivare ai bordi di una democrazia sostanziale, fatta del prevalere di interessi personali e locali sul bene comune di tutto il Paese e – cerchiamo tutti di non dimenticarlo – della passività   e del disimpegno di molti cittadini rassegnati alla condizioni di sudditi in una Repubblica che si andava di giorno in giorno trasformando in un «sultanato».
Ricostruire l’Italia sulle macerie di un «dopoguerra» forse più insidioso di quelli passati dovrà   essere un impegno quotidiano di tutti, consapevoli che un mondo è finito e un altro dovrà   nascere su ritrovati valori di solidarietà  , eguaglianza e fraternità  , ben lontani dagli egoismi che hanno segnato questa stagione e alimentato fratture tra nord e sud dell’Italia, tra anziani e giovani, tra diritti acquisiti e diritti negati e tra la «casta» e i cittadini. Non sorprende che i responsabili di queste fratture, come la Lega e non solo, restino arroccati sul mondo che è finito e remino contro un futuro che li sta mettendo all’angolo. Dove già   sono e rischiano di restare se dovessero intestardirsi.
Riprendere la strada dell’Europa è l’altro compito che ci aspetta, almeno altrettanto urgente che ricostruire l’Italia e che con questo deve andare di pari passo: perchà© se il nostro Paese piange, l’Europa non ride. Dopo aver mancato, almeno in parte, l’appuntamento con la storia quando la caduta del Muro di Berlino nel 1989 le aveva offerto l’occasione di riunificare il continente e riconquistare un nuovo ruolo nel mondo, l’Unione Europea non accompagnಠnell’ultimo scorcio di secolo il «balzo in avanti» della moneta unica con un governo comune dell’economia e un’accelerazione dell’integrazione politica. La svolta del Trattato di Maastricht del 1992 si arenಠnell’infelice Trattato di Nizza del 2001 e col «no» del referendum francese nel 2005 al Progetto di una Costituzione per l’Europa per risollevarsi appena con l’attuale Trattato di Lisbona.
Nel frattempo, mentre l’Europa-tartaruga si muoveva lenta, cambiavano rapidamente gli equilibri politici del mondo: si indeboliva la leadership dell’Occidente guidato dagli USA, si sgretolava la solidarietà   europea, si affacciavano con prepotenza sulla scena Cina, India e altri Paesi emergenti, con un ritorno a tutt’oggi sottovalutato della Russia, e si incendiavano l’area mediorientale e il Mediterraneo.
Un ventennio in cui l’Italia è stata presente sulla scena europea solo a tratti: rispettata al momento della creazione dell’euro con Prodi e Ciampi, poi ancora con Prodi nella fase di allargamento dell’UE a est e con Amato alla presidenza della Convenzione europea nell’elaborazione del progetto di Costituzione europea. Per il resto, l’Italia si è fatta notare per il suo silenzio assordante, rotto soltanto dalle sceneggiate deprimenti dell’ex-presidente del Consiglio sulla scena delle Istituzioni europee, riproponendo l’immagine di un’Italia «corna e mandolino», aggravata dalle piazzate e dalle volgarità   leghiste.
L’Italia che si appresta a ricostruire se stessa, deve anche contribuire a ricostruire l’Europa: quella del duo Merkel-Sarkozy non è l’Europa di cui abbiamo bisogno per affrontare uniti il futuro e ritrovare un posto nel mondo. E non puಠessere nemmeno soltanto l’Europa della Banca centrale europea (BCE), con tutto rispetto per il suo nuovo presidente Draghi: la moneta non è tutta l’economia e il mercato non è tutto per la nostra democrazia. Bisognerà   riprendere al più presto la strada della riforma dei Trattati, coinvolgere i cittadini nella ricostruzione dell’Europa, rafforzare il ruolo del Parlamento europeo e ampliare le competenze dell’UE.
Le recenti vicende italiane stanno portando – anche dolorosamente – più Europa in Italia. E’ venuto il momento di ricambiare, riportando più Italia in Europa e ritornando a essere il Paese fondatore che fummo, in quell’altro dopo-guerra, negli anni ’50.

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