In un contesto mediorientale scosso da molteplici conflitti e dagli interessi incrociati delle varie potenze regionali e globali, la Siria torna prepotentemente sotto i riflettori per l’offensiva della Turchia nel Nord del Paese, nei confronti delle milizie curde di protezione popolare dell’YPG.
Un’offensiva lanciata immediatamente dopo l’annuncio del Presidente Trump del ritiro dei militari americani sul posto, impegnati da anni nel sostegno ai curdi nella lotta contro lo Stato Islamico (Daesh). E’ bastata infatti questa decisione di Washington per liberare l’impazienza di Erdogan e lanciare contro le milizie curde la terza offensiva dal 2016, denominata con crudele ironia “Fonte di pace”. Le precedenti offensive, “Scudo dell’Eufrate” nel 2016 e “Ramoscello d’ulivo” all’inizio del 2018, sebbene lanciate dalla Turchia mentre era ancora in corso la lotta al Califfato, avevano sempre lo stesso obiettivo : proteggere i confini meridionali della Turchia, liberarli dalla presenza di quei curdi che, agli occhi di Erdogan, non sono altro che “terroristi” e istituire, progetto accarezzato da molto tempo, un cuscinetto di sicurezza alla frontiera fra la Turchia e la Siria.
Sventolando senza disagio il contenuto del suo piano, il Presidente Erdogan ha dichiarato di voler estendere la zona di sicurezza su circa 480 kilometri di lunghezza e 30 kilometri di profondità, con poca cura del concetto di integrità territoriale della Siria e con il cinismo di collocarvi una parte dei tre milioni e mezzo di siriani, di etnia araba, rifugiati in Turchia.
Questa nuova guerra, che ha già fatto vittime e migliaia di sfollati, rimettendo in primo piano tutte le sofferenze di un popolo, ha in verità un risvolto politico che affonda le sue radici in una lunga storia che inizia con il Trattato di Sèvres nel 1920 e che prevedeva la creazione di un Kurdistan indipendente. Un obiettivo che non fu mai realizzato e che ha lasciato, fino ad oggi, una nazione di circa 35 milioni di persone, sparse su quattro Paesi, (Siria, Turchia, Iran e Iraq) senza uno Stato.
Ed è proprio sulla scia di questo sogno mai realizzato, ma sempre perseguito dai curdi, che la Turchia vorrebbe mettere fine alle velleità autonomiste dei curdi siriani e di impedire la creazione di una regione autonoma curda in Siria, ad est dell’Eufrate, in quella zona oggi denominata Royava. Per i curdi siriani si trattava di una concreta speranza ispirata dall’esperienza dei curdi in Iraq, che fruiscono di una discreta autonomia nel nord est del Paese, riconosciuta dalle autorità locali. Era anche un riconoscimento che, giustamente, i curdi siriani, sotto l’egida di Washington si aspettavano, dopo aver combattuto con tanta fermezza e coraggio il terrorismo di Daesh.
Oggi, questo sogno è pericolosamente nelle mani di Erdogan, pronto a distruggerlo con le armi e a non lasciare, per il momento, nessuno spazio ad una eventuale soluzione diplomatica che tenesse in considerazione la dignità e l’affidabilità di questo popolo alla ricerca, se possibile, di un riconoscimento. Nella loro attuale e disperata solitudine, i curdi non hanno avuto altra scelta che chiedere il sostegno militare dello stesso Bachar al Assad.
La comunità internazionale ha richiamato Erdogan a cessare il suo pericoloso intervento, cosciente non solo della catastrofe umanitaria che sta producendo, ma anche e soprattutto del pericolo di una possibile rinascita di Daesh e delle conseguenze che questo può comportare per la sicurezza regionale, internazionale ed europea. Ma questo conflitto ha anche messo in luce, se ancora ce ne fosse bisogno, l’importanza di una politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea, oggi confrontata alla follia guerriera di un alleato e di un membro importante della NATO, che oltre alle armi è capace di usare anche l’arma del ricatto sulla pelle dei rifugiati che fuggono dalla guerra.
La NATO è uno strumento difensivo, la Turchia ha aggredito un altro paese: non si può cominciare a dire che la Turchia si è posta fuori dei parametri fondamentali della NATO e quindi quantomeno sospenderla in attesa di eventuali ulteriori decisioni più drastiche??
E’ da tempo che il comportamento della Turchia devia dai suoi impegni euro atlantici e, in generale, dalla sua appartenenza all’orbita occidentale.
Una sospensione dalla NATO sarebbe estremamente importante non solo per condannare l’aggressione nella Siria del Nord e nei confronti dei Curdi (atto estremamente grave) ma per avviare un processo di chiarimento del suo ruolo e della sua rilevanza politica nella regione. Servirebbe inoltre a stimolare l’Unione Europea a dotarsi di una sua politica di difesa e di sicurezza comune.
A.L.