Ci siamo abituati un po’ tutti ad usare indifferentemente “Europa” e “Unione Europea” come se i due termini si equivalessero, ma così non è. Non lo è geograficamente, ancor meno politicamente. I confini dell’Europa non coincidono con quelli dell’Unione Europea: nel caso poi dell’Europa addirittura non non c’è accordo per delimitarne i territori, in particolare verso est e non è un problema da poco. I confini dell’Unione Europea li conosciamo, anche se li dobbiamo periodicamente aggiornare, sia perché arrivano nuovi Paesi, sia perché qualcuno se ne va, come è avvenuto nel 2020 per il Regno Unito.
Non solo in questo nostro piccolo continente non si sovrappongono le coordinate geografiche, più ancora non coincidono quelle politiche. L’Unione Europea è un’aggregazione di Paesi di orientamento federale, con Istituzioni, normative e politiche comuni, fondate su Trattati condivisi; l’Europa è un continente di Paesi presunti sovrani, con ampie autonomie, in particolare per i Paesi che non fanno parte dell’UE, anche se ancora rilevanti per quelli che vi aderiscono.
In questo variegato quadro non sono senza importanza le alleanze politiche che si intrecciano in Europa, dentro e fuori dello spazio comunitario. E’ il caso, tra gli altri, di accordi bilaterali in cantiere tra i diversi Paesi europei, come sta avvenendo in questi giorni nel triangolo Germania, Francia e Regno Unito ad iniziativa di quest’ultimo, da quando alla guida del governo sono arrivati i laburisti.
Il contesto lo conosciamo: il Regno Unito, dopo l’azzardato referendum di Brexit del 2016 e l’uscita dall’Unione Europea nel 2020, sta ripensando al suo futuro da ricostruire nelle relazioni internazionali, in particolare con l’UE, il cui grande mercato gli sta particolarmente mancando, insieme con il favore di un’opinione pubblica che oggi a maggioranza non sarebbe più in favore di Brexit. Non è una ragione sufficiente per una retromarcia britannica, non praticabile politicamente in tempi brevi dall’orgoglioso Paese di Sua Maestà, né per una precipitosa riapertura comunitaria al “figliol prodigo”, senza prima i necessari chiarimenti politici, economici e commerciali.
Nell’attesa di ricostruire più ampie intese tra le due sponde della Manica, il Primo ministro del nuovo governo britannico, il laburista Keir Starmer, è venuto sul continente per incontrare, in rapida successione il 28 e 29 agosto, prima a Berlino il Cancelliere Olaf Scholz e a Parigi il Presidente Emmanuel Macron, con l’obiettivo di superare le relazioni conflittuali del precedente governo conservatore con gli alleati europei e rilanciare la crescita economica britannica.
In Germania al centro del dialogo l’avvio di un’alleanza di portata storica in materia di difesa, oltre al rafforzamento della cooperazione in settori sensibili come il commercio e l’energia. La guerra della Russia con l’Ucraina non è certamente estranea a questa iniziativa, come non lo è per entrambi la prospettiva preoccupante di un possibile cambio di guardia alla Casa Bianca.
A Parigi l’argomento è tornato sul tavolo tra due Paesi che dispongono dell’arma nucleare e di un seggio, per quello che può ancora contare, nel Consiglio di sicurezza dell’ONU. Non sono mancati scambi sull’irrisolto problema dei migranti sulle due sponde della Manica e sulla prospettiva di una ripresa delle relazioni tra Regno Unito e Unione Europea.
Con i tempi che corrono queste iniziative vanno sul conto delle buone notizie, che sarebbero anche migliori se un altro Paese fondatore, l’Italia, fosse associata agli altri due nella ripresa del dialogo con il Regno Unito. Ma è chiedere troppo a un governo italiano tagliato fuori dalle alleanze che contano, tanto in Europa che nell’Unione Europea.
Più che mai necessario il dialogo interreligioso che papa Francesco va incoraggiando in Indonesia, soprattutto tra i due secolari oppositori: gli islamici e i cristiani.
E l’Europa?
Vediamo l’esempio del Belgio e dell’ “’islamismo trapiantato” in quest’articolo di Giulio Meotti.
“Tutti gli studenti dovranno imparare la lingua araba all’Heilige-Drievuldigheidscollege nella città di Lovanio. Servirà a “stimolare intellettualmente” gli studenti. E secondo il preside, a dimostrare che la scuola è “aperta a tutti”.
“Presto un Califfato belga”, commenta la coraggiosa Fadila Maaroufi. “Ora faciliteranno le conversioni del popolo fiammingo”.
Un aspetto interessante della vicenda, scrive La Libre, è che la scuola è cattolica e fu fondata dai monaci Giuseppini nel 1843.
Ma Lovanio ora ha un sindaco islamico: Mohamed Ridouani. E persino le scuole cattoliche hanno presidi islamici.
Siamo dentro il grande “trauma della diversità” di cui parla Eric Gujer in un lungo articolo su Solingen.
E pensiamo che non ci riguardi?
…
Il grande cambiamento demografico e culturale in corso lo si vede nelle scuole meglio che altrove.
“E se guardiamo a ciò che sta accadendo in Belgio c’è motivo di temere l’emergere di un emirato nel cuore di un’Europa contrita, accecata dal senso di colpa e dalla codardia”, ha appena spiegato lo scrittore algerino Kamel Daoud.
“Un corso di religione islamica nelle scuole cattoliche” (La Libre). “Bruxelles: il 41 per cento degli studenti sono musulmani” (Cath). “Ramadan a partire dagli otto anni nelle scuole” (Le Vif).
In Belgio anche in tante scuole cattoliche il 90 per cento degli studenti sono musulmani. Nelle scuole cattoliche delle Fiandre più spazio all’Islam non solo nei testi scolastici, ma anche nelle sale di preghiera e corsi ad hoc di Corano.
Questo è il volto di una società completamente conquistata ed è soltanto questione di tempo prima che ci arrivino tutti gli altri paesi europei senza un cambio radicale di rotta.
Era iniziata con i calendari scolastici del Belgio scristianizzati: la festa di Ognissanti è diventata “di autunno”, le vacanze di Natale “d’inverno” e di Pasqua “di primavera”.
D’altronde, in un saggio per La Règle du jeu, tre leader della comunità ebraica belga (Benjamin Beeckmans, Joël Kotek e Yves Oschinsky) scrivono: “A Bruxelles, la capitale europea più inclusiva del mondo, l’Islam supera già il Cattolicesimo”. Nel frattempo sono scomparsi gli studenti ebrei dalle scuole.
Non solo la più grande scuola ebraica di Anderlecht, intitolata al grande pensatore medievale Maimonide, ha chiuso per gli attacchi antisemiti e la mancanza di studenti. Quando in una scuola di Bruxelles Sarah non si è più presentata, non ci sono state manifestazioni o petizioni per conoscere i motivi della sua assenza. Era l’ultima allieva ebrea dell’Atheneum Emile Bockstael. La scuola pubblica belga non può più garantire “la convivenza” tra le sue mura. L’Atheneum Emile Bockstael oggi è jüdenfrei, non ci sono più alunni ebrei.
“Oggi, nella capitale d’Europa, gli ebrei nascondono la stella di David, escono senza copricapo e cambiano il loro nome sulle applicazioni Uber affinché il fattorino non sputi nel loro piatto”, rivela a Le Point in edicola Joël Rubinfeld, presidente della Lega belga contro l’antisemitismo. “Siamo il canarino nella miniera”.
Ad Anversa, le donne nei giorni scorsi in fila davanti a un negozio di “moda pudica”. Kabul è vicina.
Ma tutto va bene. L’ex ministro ecologista belga Alain Maron in un’intervista surrealista degna di un quadro del belga Magritte ha detto che “l’Islam è per l’uguaglianza tra uomini e donne”.
Intanto i teatri di Bruxelles diventano “Ramadan friendly”. Cos’è un “teatro Ramadan friendly”? Forse uno dove si mette al bando un adattamento di Aristofane perché “offensivo per l’Islam”? Sarà per questo che sei senatori belgi (tre dei quali musulmani) hanno presentato al Parlamento federale una legge che renderebbe l'”islamofobia” un crimine punibile con multe e reclusione?
“Integrazione e inclusione”, le due parole magiche. E scorrono fiumi di soldi dai paesi arabi verso le tasche economicamente avide e culturalmente vuote degli occidentali. I musulmani, visti i tempi, hanno capito perfettamente come introdurre la sharia in Europa. All’inizio lentamente, ora molto rapidamente” .