La pace miope dell’Europa

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Quando nel 2012 venne attribuito il Nobel per la Pace all’Unione Europea, insieme al compiacimento di molti non mancarono le perplessità di alcuni. La motivazione apparve un po’ superficiale, anche se a prima vista verosimile: «Per oltre sei decenni ha contribuito all’avanzamento della pace, della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani in Europa».

A rileggerla adesso, quella motivazione conferma più le perplessità di appena tre anni fa, che non gli entusiasmi che sollevò allora. A molti di noi sembrò nel 2012 più un Nobel di augurio e di incoraggiamento, un po’ come il Nobel per la Pace attribuito qualche anno prima, nel 2009, a Barack Obama. Oggi un primo bilancio s’impone sulla realizzazione di quell’augurio.

Va detto subito che la pace “delle armi” è stata salvaguardata dentro ai confini dell’Unione Europea, allargatasi in questi ultimi anni fino a comprendere oggi 28 Paesi e aperta ad altri candidati all’adesione, alcuni dei quali in guerra tra loro solo una ventina di anni fa, come nella ex-Jugoslavia.

Diversamente è andata al di fuori dei confini dell’UE, dove Paesi europei hanno contribuito ad alimentare conflitti armati nella stagione della decolonizzazione e a fornire armi a molti Paesi in guerra, come stanno continuando a fare anche oggi.

Se poi si vuol prendere alla lettera la motivazione del Nobel dove il riferimento è all’Europa, un continente piccolo ma più grande dello spazio fisico dell’Unione Europea, allora altri conflitti andrebbero ricordati nei sei decenni citati: oltre a quelli della ex-Jugoslavia, anche quelli scoppiati nel Caucaso e quello tuttora in corso ai confini dell’Ucraina.

Dirà qualcuno che tutto questo, o quasi, appartiene al passato e che due guerre mondiali ci hanno vaccinato dalla violenza delle armi. Troppo presto per cantare vittoria, perché le guerre si preparano molto prima che esplodano e la pace si consolida molto tempo dopo che i Trattati internazionali la proclamano. La pace è sempre tema di bruciante attualità, come ci dimostrano in questi giorni le tragedie dei flussi migratori che stanno cambiando l’Europa, ricordandole che non si può godere la pace in solitario egoismo, protetti dai fragili muri di una fortezza, esposta alle turbolenze della storia e ai drammi degli altri popoli del mondo.

Perché ci sia vera pace in Europa non basta che non si guerreggi all’interno delle sue mura. Bisogna che dinamiche di pace si diffondano nel mondo, che se ne paghi il prezzo investendo nello sviluppo dei Paesi in difficoltà, innalzando non muri da “noi” ma cordoni umanitari da “loro”, aprendo varchi a chi fugge dalla guerra e attivando tutte le risorse diplomatiche possibili per spegnere i focolai di conflitto. I primi segni di questo atteggiamento si cominciano a vedere: dall’apertura decisa dalla Germania, anche se limitatamente ai profughi siriani, all’accordo con l’Iran promosso dagli USA, insieme con l’UE. Qualche altro segnale potrebbe venire dalla “fase due” delle operazioni previste contro gli scafisti nel Mediterraneo, primi vagiti di una politica estera e della difesa che sembra essersi delineata nei giorni scorsi sotto la spinta di Federica Mogherini, Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE.

Le tragedie dell’immigrazione ricordano all’UE che non può accontentarsi di una pace miope ed egoista: serve lungimiranza e solidarietà, come ha ricordato l’altro giorno il nostro Presidente della Repubblica: «Sul fenomeno migratorio è necessario alzare lo sguardo…Occorre connettere politiche serie e lungimiranti, che affrontino in primo luogo nelle opportune sedi internazionali, le cause immediate e remote all’origine dei fenomeni migratori. La serietà di queste politiche passa per una collaborazione con i Paesi più poveri, per investimenti che possano favorire la loro crescita e rimuovere le condizioni di invivibilità che spingono i loro cittadini a sfidare qualunque pericolo pur di giungere in Europa, spazio di benessere, di pace, di sicurezza dei diritti».

Perché alla fine, anche per noi, l’Europa resti – o ridiventi – uno spazio di pace e di diritti per tutti. Perché pace e diritti di cittadinanza in Europa non possono che andare di pari passo.

 

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