Il conflitto in Medio Oriente nel G8 di S. Pietroburgo

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I Grandi della Terra, o almeno i responsabili politici delle più grandi potenze industriali, si erano dati da tempo appuntamento a S. Pietroburgo per il periodico Vertice tra gli otto Paesi delle grandi potenze economiche. Il prestigioso Club, formato in tempi successivi da USA, Canada, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia e Giappone, accolse nel 1997 la Federazione russa, che vi venne associata progressivamente a cominciare dalle questioni politiche ed oggi a pieno titolo, con la conseguente prima presidenza affidata a Putin nei giorni scorsi nell’incontro di S. Pietroburgo. Ma già   nuovi futuri soci attendono di fare il loro ingresso: Cina, India e Brasile vi hanno partecipato nell’ultima giornata come invitati, nell’attesa di diventarne anch’essi prossimamente membri a pieno titolo.
L’ordine del giorno era stato definito da tempo nei minimi dettagli e avrebbe dovuto affrontare, tra l’altro, il tema della lotta al terrorismo, la questione dell’energia e il via libera all’ingresso della Russia nell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Ma le cose sono andate diversamente e non tanto perchà© gli USA hanno ritardato di qualche tempo questo ingresso cui tanto teneva Putin, desideroso di incassare oltre che un successo per l’economia russa (che intanto aveva realizzato la convertibilità   del rublo), anche un riconoscimento per la nuova Russia «democratica». Riconoscimento certamente prematuro e ancora da meritare se si ha in mente che cosa sia tuttora la Russia dello «zar» Putin: ma non è stata questa la ragione principale che ha provvisoriamente bloccato l’ingresso della Russia nel WTO. Meno nobile la motivazione di Bush, alle prese con le resistenze del Congresso alla vigilia di una consultazione elettorale e sensibile alle pressioni delle sue lobbies agricole, che non vedono di buon occhio l’arrivo dei Russi nella libera competizione commerciale.
Tutte questioni che sono state rapidamente spazzate via dall’irruzione nel G8 del conflitto mediorientale e dal suo dilagare dalla Striscia di Gaza, con i Palestinesi nel sud del Libano assieme alle più temibili milizie sciite degli Hezbollah. Un nuovo e più pericoloso fronte di guerra dove si profilano le ombre dell’Iran e della Siria e, poco più lontano, il radicalismo sciita maggioritario nell’Iraq del dopo Saddam. Altrettante micce esplosive che se dovessero innescarsi l’una dopo l’altra trasformerebbero la regione in una polveriera, trascinandola in una guerra dalle dimensioni imprevedibili, che lascerebbe il segno nell’intera area dove sono minacciati regimi fragili come quello dell’Egitto e della monarchia saudita. Enormi sarebbero le ripercussioni per l’economia mondiale e in particolare per la vicina Europa, esposta alle minacce del terrorismo e vittima della sua persistente dipendenza energetica.
E una domanda centrale diventa per noi quella di sapere come si è mossa al G8 l’Unione europea. In ordine sparso è purtroppo la risposta, nonostante il volenteroso tentativo dell’Italia di offrirsi come «facilitatrice» per una ripresa del dialogo tra le parti in conflitto, in particolare Israele e Libano e, con tutta la prudenza del caso, con l’Iran tentato di alzare i toni se non di entrare nel conflitto.
Questo ruolo modesto e poco compatto dell’UE ha una spiegazione nella persistente assenza di una politica estera e di difesa europea, ma oggi anche in alleanze che mutano a fronte di interessi economici diversificati. Intanto non bisogna dimenticare che nel G8 l’UE non interviene come tale se non simbolicamente, con la presenza, ohimà© sempre più pallida, del Presidente della Commissione europea, e che i quattro Paesi membri dell’UE che vi partecipano non hanno necessariamente posizioni convergenti.
A S. Pietroburgo gli Europei hanno trovato una posizione comune nei confronti del conflitto israelo-palestinese, con un forte richiamo ad Israele ad una risposta difensiva proporzionata, ma si sono trovati in più grande difficoltà   di fronte alla svolta del conflitto che ha coinvolto il Libano. Restare vicino alle posizione degli USA come ha scelto la Gran Bretagna, schierandosi con Israele ed evocando i rischi provenienti da Iran e Siria, o cercare di ridurre le distanze con la Russia, più severa con Israele e più cauta con le altre potenze regionali, tradizionalmente amiche? Certamente una situazione non confortevole per Germania, Francia e Italia a rischio di fare la fine del vaso di coccio tra i vasi di ferro, a cui l’Italia ha cercato di sottrarsi con la propria iniziativa diplomatica su mandato del G8 e sostenendo con forza la proposta di una forza di interposizione ONU.
Allo stato degli avvenimenti è difficile dire quali potranno esserne gli sviluppi futuri, ma una cosa già   è chiara fin da adesso: dopo la stagione dell’unilateralismo di Bush, condannato dalle molte scelte sbagliate fatte soprattutto in Iraq, quello che si profila provvisoriamente – nell’attesa che scendano in campo India e Cina – è un duopolio USA-Russia che non lascia molto spazio al ruolo dell’Unione europea, stretta tra la fedeltà   all’Alleanza atlantica e la dipendenza energetica che le consente poco margine di manovra verso il vicino russo e l’area mediorientale. La strada oggi è stretta ed è difficile trovare un punto di equilibrio, in particolare per i Paesi del Mediterraneo e per l’Italia, in prima fila per posizione geografica e configurazione politica. Sarebbe un po’ più larga la strada di un’Unione europea dotata di una politica estera e di difesa comune, ma il cantiere stenta a partire nonostante i venti di guerra ai nostri immediati confini.
Europa, se non ora quando?

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