Balcani, adesioni in vista

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Oscurata mediaticamente dall’inaspettata (quantomeno per l’opinione pubblica europea) morte di Milosevic e dalle polemiche che ad essa sono seguite, una riunione importante per l’avvenire dell’Europa e per i suoi confini futuri si è svolta a Salisburgo, all’indomani della diffusione della notizia sulla morte dell’uomo simbolo del nazionalismo serbo, che è stata un’occasione per Javier Solana, Alto Rappresentante Ue per la PESC (Politica estera e di sicurezza comune) per esortare i serbi ad abbandonare una volta e per tutte l’eredità   dell’ex Presidente avvicinandosi così «alla famiglia di nazioni europee cui appartengono».
Il 13 marzo, così, sotto gli auspici della Presidenza austriaca che comprensibilmente ha inserito i Balcani occidentali fra le priorità   del semestre, i venticinque Ministri degli Esteri europei, accompagnati da quelli di Romania, Bulgaria e Turchia, hanno incontrato i loro omologhi di Croazia, Serbia-Montenegro, Macedonia, Bosnia-Erzegovina e Albania per discutere delle prospettive europee di questi Paesi, più o meno lontani economicamente e politicamente dall’Unione.
Oltre alla notizia del ritrovamento del cadavere di Milosevic, un altro fatto, seppur mai menzionato, non poteva che pesare come un macigno sui colloqui interministeriali di sabato: la recente apertura dei negoziati per la definizione dello status finale del Kosovo, che l’Europa segue con estrema prudenza (e senza una posizione unitaria), innanzitutto perchà© l’indipendenza della regione, ancora formalmente parte della Serbia, potrebbe rivelarsi un fattore di instabilità   dell’area balcanica, favorendo la recrudescenza dei nazionalismi fuori e dentro il Kosovo; non è un mistero, poi, che molti, a partire dalla Russia, per quanto storicamente vicina alla Serbia, attendono con ansia la formalizzazione di un precedente per la creazione di uno stato su base etnica: recentemente, Putin non ha esitato a fare un esplicito parallelo fra la situazione del Kosovo e quella di Abkhasia e Ossezia del Sud, che rivendicano l’indipendenza dalla Georgia.
Un significato particolare ha avuto, dunque, il Consiglio Affari Esteri informale aperto ai cinque Paesi dei Balcani occidentali dove, nonostante le perplessità   di Francia e Olanda, si è finito per adottare una dichiarazione congiunta che, riprendendo la recente comunicazione della Commissione, corrisponde al «forte messaggio di incoraggiamento» che il Ministro degli esteri austriaco Ursula Plassnik sperava di portare a casa.
Tutti d’accordo, quindi. Ma su cosa? La dichiarazione congiunta di Salisburgo rinnova l’impegno dei Paesi dei Balcani occidentali e dell’Ue per il processo di stabilizzazione e di associazione, in una prospettiva europea, così come era stato definito a Tessalonicco nel 2003. L’elemento di novità   consiste nel fatto che, questa volta, i 33 Ministri hanno specificato che «l’obiettivo ultimo del processo di stabilizzazione e associazione è l’adesione pura e semplice all’Unione europea». La prudenza di Francia e Olanda nei confronti di ulteriori allargamenti non è stata tale da far inserire nel testo della dichiarazione congiunta una formula di salvaguardia come il «partenariato privilegiato» tanto discusso all’epoca dell’apertura dei negoziati con la Turchia, ma sono presenti dei riferimenti alla «capacità   di assorbimento» dell’Unione e all’importanza del rispetto dei criteri di Copenaghen, fra cui una piena cooperazione con il Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia (TPIJ): insomma, l’adesione non sarà   il frutto di un semplice meccanicismo, ma la direzione è chiaramente quella di un nuovo allargamento dell’Unione europea, anche se a ritmi diversi e non in maniera compatta come è successo per il «grande allargamento» del 2004.
Se Croazia e Macedonia sono, al pari della Turchia, Paesi candidati ad entrare nella «famiglia europea» nel giro di un decennio, Albania e Bosnia-Erzegovina sono un passo indietro, avendo avviato i negoziati per un Accordo di Stabilizzazione e Associazione (ASA) con l’Unione europea, preludio per l’adesione. Questi stessi negoziati stentano a partire con la Serbia-Montenegro, perchà© la Commissione europea insiste per una maggiore collaborazione con il TPIJ, che significa in poche parole la consegna di Karadzic e Mladic.
Ma l’integrazione europea non sarà   solo il frutto di rapporti bilaterali, come testimonia la dichiarazione congiunta, con la quale l’Unione europea e i Paesi dei Balcani occidentali si sono impegnati a promuovere una cooperazione regionale rinforzata che si manifesterà   in un primo momento nella costruzione di una zona di libero scambio regionale, probabilmente grazie all’allargamento dell’esistente Accordo di libero scambio dell’Europa centrale (CEFTA) di cui Romania, Bulgaria e Croazia sono già   membri. I Ministri degli Esteri hanno inoltre chiesto alla Commissione europea di fare delle proposte concrete per la facilitazione delle procedure di ottenimento dei visti per i cittadini balcanici.
La strada insomma, anche se impervia, porta innegabilmente (e da ora esplicitamente) verso l’adesione di tutti i Paesi dei Balcani.
A Salisburgo è stato fatto un importante passo di apertura verso una regione fino a pochi anni fa dilaniata dai conflitti interetnici, piaghe ben note all’Europa e che sono anzi alla base dell’intero progetto europeo che si costruisce in opposizione alle tensioni nazionalistiche. E’ stato fatto un importante passo verso la stabilizzazione di questa regione da cui non puಠprescindere, come ricorda Ursula Plassnik, la politica di sicurezza dell’Unione. Peccato che sia stato fatto all’insaputa dei cittadini europei.

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