Apple, come aggirare il fisco in Europa

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Tempi duri per le multinazionali dell’informatica. Qualche giorno fa la stangata decisa dall’Unione Europea ad Apple, accusata di aver violato le regole fiscali internazionali, pochi giorni dopo l’ultimo nato dei telefonini di Samsung che esplode, obbligando la multinazionale coreana a rinviarne la presentazione alla folla di appassionati in attesa.
Due episodi senza collegamenti fra di loro, ma entrambi a loro modo esplosivi per il commercio internazionale, pochi giorni prima che il G20 – il corteo dei venti Paesi più ricchi del mondo – si riunisse in Cina per esplorare le vie della crescita, lottare contro risorgenti forme di protezionismo e auspicare forme corrette di fiscalità a livello internazionale.
Ha fatto molto parlare di sé – e ancora se ne parlerà a lungo perché il contenzioso è destinato a durare – il caso della planetaria società di Cupertino, la Apple, che si è vista recapitare dalla Commissione europea, guardiana dei Trattati e del loro rispetto sul territorio dell’Unione, una lettera con l’ingiunzione di restituire all’Irlanda la bellezza di 14 miliardi di euro di arretrati fiscali per aver eluso la fiscalità europea, pur nel rispetto degli accordi fiscali convenuti da Apple con il governo irlandese, ma irregolari agli occhi di Bruxelles.
Non stupisce quindi non solo la dura reazione della multinazionale americana, che minaccia di spostare altrove i suoi importanti investimenti con le immaginabili conseguenze sull’occupazione, ma anche la risposta del governo irlandese contro la Commissione europea, e quindi contro l’Unione Europea di cui pure fa parte e dalla quale ha ricavato negli anni generosi benefici.
Il caso si presenta ingarbugliato e non configura propriamente una formale evasione fiscale, quanto piuttosto una forma massiccia di elusione. Questo grazie ad accorgimenti societari in forza dei quali le multinazionali – tra queste anche la FCA, ex-Fiat, e molte altre – fanno figurare la loro attività in Paesi diversi da quelli dove producono valore e profitti.
Proviamo a capire dove si colloca il nocciolo del problema politico sollevato da una questione all’apparenza tecnica, puntando l’attenzione soprattutto sul contenzioso in corso tra l’Irlanda e l’Unione Europea che spetterà alla Corte di Giustizia del Lussemburgo dirimere, tenuto conto anche della natura retroattiva della misura della Commissione.
Da una parte l’Irlanda, che invocando la sua “sovranità fiscale”, ha concesso tasse eccezionalmente basse alla Apple con l’obiettivo di attirarne i capitali e creare occupazione, ma con due conseguenze non banali: da una parte, rinunciando a entrate fiscali per i propri conti pubblici, ai tempi dell’accordo non proprio in buona salute, e facendo scattare un’infrazione alla regola europea che vieta gli aiuti di Stato, responsabili di alterare la concorrenza all’interno del mercato unico europeo.
E’ quest’ultimo il capo di accusa su cui fa leva l’ingiunzione di Bruxelles, con una multa non direttamente in favore dell’UE ma della stessa Irlanda, che rifiuta di incassarla, per il timore di provocare una delocalizzazione della multinazionale americana. Confliggono in questa vicenda due regole che rivelano quanto sia incompiuta la costruzione europea che, nei suoi quasi settant’anni di vita, non è venuta a capo di una fiscalità comune, salvo in misura relativamente marginale su forme di tassazione indiretta.
Molto si è deprecato che la moneta unica non potesse contare su una politica economica e di bilancio comune: adesso diventa chiaro che non può a lungo stare in piedi un mercato unico senza una fiscalità almeno convergente e, un giorno, europea: la decisione della Commissione ce lo ha ancora una volta meritoriamente ricordato.
Sono tempi in cui molti nodi stanno venendo al pettine nell’UE: sarà bene non tardare troppo a scioglierli, prima che la soffochino.

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