Di nuovo sangue a Parigi

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Venerdì 13 novembre, Parigi è stata di nuovo colpita dalla cieca ferocia del terrorismo.  Ad oggi 129 le vittime, 300 i feriti di cui un centinaio gravi, sette i punti d’attacco con armi e kamikaze che si sono fatti esplodere per provocare la strage. Certo non ci sono parole adatte per esprimere, sul filo di una forte emozione, l’orrore per quello che è successo né esistono parole per spiegare razionalmente le motivazioni che hanno spinto gli autori a compiere una tale carneficina. La maggior parte dei quotidiani di molti Paesi, non solo europei, non hanno esitato a scrivere nei loro titoli la parola “guerra” a lettere cubitali e a ricordare la Francia come Paese simbolo di quei valori di “liberté, égalité e fraternité” che contribuiscono oggi ad esporlo, forse più di altri Paesi, alla follia distruttrice del fanatismo integralista.

La strage di Parigi è stata condannata quasi unanimemente nel mondo intero, dagli Stati Uniti alla Russia, dalla Cina al Giappone, dall’Arabia Saudita all’Iran e alla Turchia. Se effettivamente non esistono chiavi di lettura per interpretare la follia assassina, vale tuttavia la pena cercare di capire il contesto culturale, politico e geostrategico in cui si inseriscono tali attentati.

Per prendere in considerazione solo le rivendicazioni degli attentati più recenti da parte del sedicente Stato islamico o Daesh, l’opinione pubblica è stata particolarmente scossa dall’abbattimento, nel Sinai, di un aereo civile russo con più di 200 persone a bordo, dalle bombe a Beirut contro mussulmani sciiti legati ad Hezbollah che hanno provocato più di 40 vittime ed infine Parigi. Una strategia delle stragi che, vista nella prospettiva della guerra in Siria e del pericoloso e confuso incrocio che sta avvenendo fra guerra civile e guerra alla nebulosa del terrorismo, sta rivelando tutta la forza ancora intatta di Daesh e il suo disegno di superare i confini mediorientali per portare il conflitto a livello internazionale. Un disegno che ha come obiettivo, in particolare per quanto riguarda la Francia e l’Europa, di indebolire valori e Istituzioni della nostra cultura, come la libertà di espressione (Charlie Hebdo) o semplicemente la libertà di andare ad ascoltare musica (Bataclan), di andare al ristorante o di assistere ad una partita di pallone.

L’obiettivo di indebolire le Istituzioni, in un momento in cui la Francia (e l’Europa) è già di per sé in preda a gravi difficoltà per l’accoglienza dei richiedenti asilo che fuggono proprio da quelle stesse guerre che Daesh contribuisce ad alimentare in Medio Oriente, si concretizza ulteriormente con  il rafforzamento  di un senso di paura e di insicurezza proprio alla vigilia delle elezioni regionali (6 e 13 dicembre), le quali, malgrado l’unità nazionale manifestata oggi, non mancheranno di dare maggiore forza e voce a partiti populisti sempre più in ascesa. A livello europeo invece, molti sono i Paesi che si sentono “in dovere” e autorizzati a sospendere Schengen e la libertà di circolazione per ragioni di sicurezza.

A livello internazionale, la strage di Parigi coincide inoltre con la problematica Conferenza di pace sulla Siria, riunita a Vienna proprio in questi giorni. Per riprendere la dichiarazione del ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, la strage di Parigi avrà senz’altro un impatto sul futuro di tali negoziati.  Quale ancora non si sa, ma nella nostra interpretazione ciò significa sottolineare l’urgenza di trovare una soluzione diplomatica ed operativa al conflitto, di superare la logica dei bombardamenti e degli interventi militari (occasione da parte di Daesh per giustificare la strage francese), di indicare una via per l’uscita di scena di Bashar al Assad e per una transizione democratica della Siria. Questo significa anche trovare il coraggio di una diplomazia nuova e inedita, che riunisca intorno al tavolo dei negoziati tutti gli attori strategici regionali e internazionali, dagli Stati Uniti alla Russia, dall’Unione Europea alla Turchia, dall’Arabia Saudita all’Iran.

In questa Europa colpita al cuore, c’è da sperare che dia risultati concreti la dichiarazione dell’Alto Rappresentante UE, Federica Mogherini al termine della Conferenza di Vienna: «L’Europa farà tutto il possibile per sostenere il  processo di pace …».

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