Capita, specie di questi tempi turbolenti, che informazioni di provenienza diversa si intreccino tra di loro, mandando notizie non buone per il nostro futuro. Succede dai due fronti di guerra, succede con gli attentati che stanno ferendo l’Europa; meno drammaticamente, ma non per questo meno importante, capita anche quando convergono informazioni preoccupanti sul versante socio-economico.
E’ avvenuto in contemporanea il 15 maggio scorso con le “Previsioni economiche di primavera 2024” per l’UE, rese pubbliche dalla Commissione europea, con il “Rapporto annuale 2024” presentato dall’ISTAT e il 20 maggio con la severa Relazione del Fondo monetario internazionale (FMI) sull’Italia: tre fotografie, quasi uno specchio, dove si rifrangono prospettive problematiche per l’UE e l’Italia, con dimensioni e tonalità diverse, ma con dati che si richiamano tra loro.
Le informazioni in provenienza da Bruxelles sul futuro dell’economia europea si vorrebbero moderatamente rassicuranti, molto più preoccupanti quelle dell’ISTAT e del FMI.
La Commissione UE valuta una prospettiva di crescita di + 0,8% nel 2024 e di +1,4% nel 2025, in leggera riduzione rispetto alle previsioni di inizio anno, percentuali comunque incoraggianti nel quadro delle tensioni internazionali che conosciamo e che restano un rischio sempre incombente. Sembrerebbe andare leggermente meglio la crescita italiana nel 2024 con un + 0,9%, ma purtroppo con una percentuale soltanto di +1,1% l’anno prossimo, di alcuni decimali inferiore alla previsione di crescita europea.
Non è la sola notizia preoccupante per l’Italia, per la quale l’UE alza il livello di allerta sul deficit annuale, nel 2025 previsto al 4,7% (fa peggio la Francia, ma fanno molto meglio Germania e Spagna, rispettivamente con l’1,2% e il 2,8%) e, più ancora, sul debito pubblico previsto in ascesa a 141,7% sul Pil nel 2025, una percentuale non più lontana da quella della Grecia, ultima in classifica appena dopo di noi, al 149,3%.
Da Washington l’FMI fa un passo più avanti e accompagna l’analisi severa sui conti italiani con ricette che evocano una “cura da cavallo”, con la richiesta al governo italiano di “una rapida eliminazione di misure inefficaci e temporanee”, ricordando che non si cresce con la spesa ma con il risparmio e gli investimenti. Nel mirino del FMI non c’è solo l’impatto del Superbonus, ma anche il costo del taglio del cuneo fiscale e dei bonus assunzioni, per non parlare di tutte le mance elettorali in programma.
Sono numeri e misure che annunciano già chiaramente che l’Italia entrerà presto in procedura di infrazione e saranno guai per tutti, in particolare a fronte dei numeri rivelati a Roma dall’ISTAT e che alzano ulteriormente la soglia di allarme per le loro inevitabili ricadute sociali.
Il quadro appena disegnato dal nostro Istituto di statistica racconta di un’Italia in crescente difficoltà su molti fronti, come le condizioni di povertà per chi un lavoro ce l’ha, come il 14,6% degli operai, cui si aggiungono 4,2 milioni di persone che non cercano attivamente un’occupazione, in particolare donne e giovani del Mezzogiorno e 3 milioni di lavoratori con contratto a tempo determinato. Completa il quadro, la caduta verticale della popolazione giovane, ridotta a poco più di 10 milioni, con un decremento del 32,3% negli ultimi cinque anni e con gli ultra-sessantacinquenni passati negli ultimi vent’anni da 9 milioni a 14 milioni, con un incremento del 54,4%. E’ comunque una buona notizia constatare il miglioramento del livello di salute degli anziani: interessa il 37,8% di loro nel 2023 rispetto al 29,4% nel 2009.
Altri ancora sarebbero i numeri da far sfilare, nell’UE e in Italia, per avere un quadro completo di quanto ci attende domani, quando dopo le elezioni verrà meno la benevolenza della “tregua elettorale” da parte di Bruxelles e il governo italiano non potrà più nascondersi dietro una lettura spesso taroccata dei numeri o il gran frastuono di una campagna elettorale tutta provinciale, incentrata su premierato e autonomia differenziata, e sarà costretto dopo le elezioni a rassegnarsi all’inevitabile obbligo di “fare i conti con i conti” e di trovare il coraggio di parlare chiaro agli italiani.