Un’Italia migliore in trasferta

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Contrariamente a quanto avviene nel calcio dove è più probabile vincere in casa – salvo manipolazione delle regole e degli arbitri – sembra che il nuovo governo italiano incassi migliori risultati quando gioca in trasferta. Così almeno pare sia accaduto in questo suo primo periodo di vita, tanto travagliato in patria quanto coerente ed innovativo fuori dai confini d’Italia. E’ quanto si è verificato per le difficili missioni del Presidente del Consiglio e del Ministro dell’economia in Europa, dei Ministri degli Esteri e della Difesa in Irak, Afganistan e Usa e dei Ministri dell’interno e della Giustizia in Russia. Persino l’intervista apparentemente maldestra di Prodi al settimanale tedesco Die Zeit non era priva di una franchezza in parte poi smentita e temperata per un eccesso di prudenza in patria.
Tra le molte considerazioni circa le buone partite giocate dal governo italiano in trasferta, limitiamoci a quelle suggerite dal recente incontro del Ministro degli Esteri con la non proprio mite collega USA e più in particolare dal Consiglio europeo della settimana scorsa a Bruxelles.
In entrambi i casi uno sforzo coerente dell’Italia per recuperare la dignità   perduta in questi anni sulla scena internazionale: a Washington l’Italia si è presentata con la «schiena dritta» per comunicare garbatamente agli USA la decisione sovranamente presa in patria di ritirare il nostro contingente militare dalla sciagurata avventura irachena, accompagnandola con la richiesta – fatta a nome di molti altri Paesi europei – di mettere fine alla violazione dei diritti fondamentali nella base di Guantanamo e senza dimenticare di evocare le gravi divergenze che sussistono tra l’Italia e gli USA sulla tragica fine di Calipari, ucciso in Irak dal «fuoco amico». Parlare di un incontro caloroso sarebbe eccessivo, per ora acontentiamoci – come si dice in linguaggio diplomatico – di definirlo un confronto franco e cordiale. In realtà   una svolta radicale che punta a non scambiare la tradizionale amicizia con l’alleato con una servile sudditanza alla potenza imperiale. àˆ solo un inizio, ma è un buon inizio.

Qualcosa di nuovo da Bruxelles

Anche a Bruxelles, la settimana scorsa, il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo dell’UE sembra aver segnato, tra molte incertezze, un buon inizio se non proprio una svolta dall’europaralisi all’eurorilancio. Intanto non si è trattato di un Consiglio europeo deprimente come molti altri del passato, segnati dall’impotenza di leaders stanchi, sfiduciati o allegramente impegnati a raccontare barzellette e a distribuire pacche sulle spalle. Si sono visti leaders un briciolo più grintosi e con una rinnovata voglia di Europa: da Angela Merkel a Zapatero, dai Primi ministri belga e lussemburghese a Romano Prodi. Sottotono le due primedonne al tramonto, Blair e Chirac, e con i leaders dei nuovi Paesi entrati, preoccupati di posizionarsi nella squadra vincente della futura Europa. Qualcuno la scelta l’ha già   fatta , come la Slovenia che sarà   nell’euro il primo gennaio prossimo e i Paesi baltici che scalpitano nell’anticamera della moneta unica, mentre altri resistono pericolosamente – per loro – sul bordo del campo come la Polonia. E intanto si profilano da sud nuove aggregazioni di Paesi che sotto l’impulso di Italia, Francia e Spagna hanno interesse a riprendere l’iniziativa per sviluppare equilibri più favorevoli all’Europa mediterranea e affrontare insieme il drammatico problema dell’immigrazione.
Ma un segnale lo si aspettava sul tema della Costituzione europea. Il segnale c’è stato, anche se non così forte come si sperava, sapendo perಠanche come fosse difficile esprimersi prima del verdetto delle prossime elezioni in Francia e Olanda. Compatta è stata perಠla volontà   di rilancio del processo di ratifica costituzionale da parte degli altri quattro Paesi fondatori, tra i quali dopo anni di penosa assenza è finalmente tornata l’Italia. Ci vorrà   ancora tempo, molta prudenza e difficili negoziati per riuscire nell’impresa: si vedrà   più chiaro alla fine del primo semestre 2007 condotto sotto Presidenza tedesca e con risultati che matureranno nel 2008, con lo sguardo all’orizzonte del 2009, anno delle elezioni europee, della formazione della futura Commissione e, comincia ad accreditarsi l’ipotesi, di un possibile referendum europeo su un testo parzialmente modificato di Costituzione.
A questo traguardo sarebbe bene già   preparasi fin da adesso per non incassare in Europa gli errori del passato e, in Italia, per non farci trovare all’appuntamento con una Costituzione italiana demolita dalle modifiche decise dalla passata maggioranza.
E’ infatti singolare il raffronto tra gli obiettivi perseguiti dalla Costituzione europea e le modifiche costituzionali italiane sottoposte all’imminente referendum. Mentre l’Europa cerca di unire i popoli rispettando la sovranità   degli Stati, in Italia si rischia di dividere gli italiani e minare le basi della solidarietà   nazionale. Mentre l’Europa si apre con fiducia a nuovi Paesi, l’Italia subisce la tentazione delle «piccole patrie» e dei localismi senza futuro. Mentre l’Europa cerca una nuova equilibrata articolazione dei poteri anche grazie alla crescita del ruolo del Parlamento europeo, in Italia si propone una pericolosa concentrazione di potere nell’Esecutivo, mortificando il Parlamento e gli organi di garanzia.
E si potrebbe continuare a constatare quanto le modifiche decise dalla vecchia maggioranza, e da essa sola, vadano in direzione opposta all’Europa e rischino di isolarci ulteriormente. Dire NO a queste modifiche equivale ad un SI’ beneaugurante per il futuro dell’Europa, la sua cultura dei diritti uguali per tutti, l’equilibrio dei poteri, il consolidamento di una democrazia delle differenze e il rispetto delle giurisdizioni.

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