Il Presidente Mattarella nella fortezza di Visegrad

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Non è mai stato facile il mestiere di Presidente della Repubblica italiana, lo è probabilmente ancora meno di questi tempi, tanto in Italia quanto in Europa. In Italia dove, impresa non facile, il Presidente deve rappresentare l’unità nazionale, come ricorda l’art. 87 della Costituzione; in Europa dove il Presidente è, nella nostra tradizione repubblicana, impegnato a sostenere il  processo di integrazione comunitaria in corso dai primi anni ‘50 e a vegliare che nello stesso senso operino i governi alla guida dell’Italia.

Prima di essere accolto a Cuneo, Borgo s. Dalmazzo e Boves il prossimo 25 aprile, festa della liberazione, un impegnativo programma di viaggio di Stato, fissato da tempo,  ha portato il Presidente Mattarella  prima in Polonia e poi in Slovacchia, proprio nella tana di Visegrad, il gruppo che raccoglie i Paesi “frenatori” del processo di integrazione europea, Polonia e Slovacchia appunto, in compagnia di Ungheria e Repubblica Ceca,  distintisi in questi ultimi anni per ripetuti contrasti con Bruxelles. Questo è avvenuto in particolare in Polonia e Ungheria per infrazioni allo Stato di diritto e in tutti e quattro per i loro rifiuti alla redistribuzione dei migranti giunti nell’Unione Europea e  per il contrasto, tra l’altro, alla politica ambientale UE.

Molti gli incontri del nostro Presidente, i più importanti in Polonia, tanto con i vertici politici polacchi quanto per la visita al campo di concentramento di Auschwitz: un’occasione per confermare l’impegno dell’Italia e dell’Unione Europea a fianco dell’Ucraina e fare memoria, per chi se ne fosse dimenticato o fosse tentato di riscrivere la storia,  delle tragedie che i nazionalismi hanno provocato sul nostro continente nel secolo scorso.

Il Presidente è arrivato in Polonia un mese dopo un discorso importante tenuto a Heidelberg, in Germania, dal Presidente del Consiglio polacco, Mateusz Morawiecki, nel quale è stata disegnata con chiarezza la “sua” futura Unione Europea a dominante intergovernativa, lontana mille miglia da quella a vocazione federale che sta a cuore al nostro Presidente, ma molto vicina a quella del nostro Presidente del Consiglio, a sua volta molto vicino politicamente al premier polacco, oltre che al suo socio, il premier ungherese, Viktor Orban.

E’ in questo contesto ad alta tensione che Mattarella si è espresso con indubbia chiarezza sulla necessità di mettere mano a una politica comune per i migranti, cominciando con la revisione di quel Regolamento di Dublino, sistematicamente osteggiata proprio dai Paesi di Visegrad, e chiedendo a tutti di lasciarsi alle spalle “regole preistoriche” in materia. 

Una prima lettura superficiale del discorso del Presidente ha creduto di individuare come bersaglio l’Unione Europea, qualcuno addirittura di vedervi un sostegno del Presidente alla maggioranza politica in Italia alle prese con la soppressione della “protezione speciale” per i migranti in attesa di regolarizzazione. 

Tutto questo dimenticando che rivolgendosi all’Unione Europea, in una materia in cui questa ha limitate competenze, il Presidente ha parlato in realtà ai governi dei Paesi UE, compreso quello polacco, che sul tema hanno una completa responsabilità e che, nonostante questo, non intervengono come sarebbe in loro potere, come nel caso proprio dei Paesi di Visegrad e di componenti dell’attuale maggioranza di governo in Italia. 

La campagna elettorale per le elezioni del Parlamento europeo fra un anno è già iniziata e il gioco dello scarica-barile sta prendendo il sopravvento sull’avvio di una politica comune UE di lungo periodo a fronte di flussi migratori che, nelle condizioni attuali, tutti sanno bene essere inarrestabili.

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