L’aggressione della Russia all’Ucraina sta mettendo sotto una straordinaria pressione l’Unione Europea almeno su tre fronti diversi e tra loro intrecciati che traducono altrettante emergenze: umanitaria, economica e politica.
L’urgenza prioritaria è senza dubbio quella umanitaria legata alla vita della popolazione civile e alle condizioni drammatiche che vivono i profughi in fuga dall’Ucraina. Nel primo caso si tratta di aiutare gli ucraini a disporre di prodotti alimentari, di medicinali e di proteggerli dal freddo; nel secondo di assicurare flussi ordinati in uscita dal Paese e predisporre nell’Unione Europea condizioni di adeguata accoglienza, ripartendone responsabilità e costi tra i suoi diversi Paesi membri e non solo quelli confinanti con l’Ucraina. E’ da apprezzare la risposta positiva data in particolare dalla Polonia e dall’Ungheria, nuova rispetto ad atteggiamenti di chiusura ai profughi in provenienza dalle rotte meridionali e motivata, oltre che da ragioni di buon vicinato e da una comprensibile paura, anche dalle caratteristiche di questi flussi migratori considerati più compatibili con la presunta identità dei Paesi ospitanti.
Che incomba anche una pesante emergenza economica è evidente quando si pensa all’impatto delle forniture di energia, oltre che sulla dinamica della transizione ecologica, anche sull’andamento della crisi economica da cui stiamo appena rientrando con difficoltà dopo la devastazione provocata dalla pandemia e la revisione. Se poi a questo si aggiunge l’impatto che potrà avere la ricaduta per l’UE delle sanzioni alla Russia, allora il quadro si fa allarmante. E’ possibile che in queste condizioni l’UE possa essere indotta a prorogare la sospensione del Patto di stabilità, decisa nel 2020, per consentire ai Paesi membri più ampi margini di manovra finanziaria, ma con la conseguenza di aggravare deficit e debito pubblico dei Paesi più in difficoltà, come nel caso dell’Italia.
In questa prospettiva potrebbe essere auspicabile, come proposto già da più parti, di rilanciare una nuova iniziativa di debito pubblico europeo, come avvenuto a luglio 2020 con il “Piano europeo di ripresa” (Next generation EU), distribuendone equamente costi e benefici.
Più complessa e incerta la prospettiva politica dove con le relazioni atlantiche e internazionali si intrecciano i posizionamenti interni dei Paesi UE sul sostegno militare all’Ucraina e sulla apertura a negoziati di adesione all’Unione Europea. Sul primo versante sono da segnalare i contributi di materiale militare all’Ucraina, oltre che dagli USA e dal Regno Unito, anche da Paesi UE come la Germania, la Francia e l’Italia.
In particolare per la Germania si registra una svolta “storica”, non solo per il suo contributo immediato all’Ucraina, ma soprattutto per la decisione di aumentare il proprio bilancio militare, già cresciuto negli anni scorsi, con una ulteriore dotazione di 100 miliardi di euro.
Finora il tragico passato della Seconda guerra mondiale aveva impedito alla Germania di esporsi troppo su questo fronte, lasciando che assumessero maggiori iniziative Francia e Regno Unito, due Paesi detentori dell’arma nucleare, che siedono nel Consiglio di sicurezza dell’ONU. La decisione tedesca potrebbe adesso dare un forte impulso all’avvio di una politica comune europea di difesa e sicurezza, convergendo con una spinta già presente da parte della Francia e alla quale l’Italia potrebbe associarsi, in coerenza con l’inedita decisione europea di fornire fin da subito circa 500 milioni di euro per materiale militare all’Ucraina.
In questo quadro si colloca l’offerta dell’UE, nelle parole di Ursula von der Leyen, di aprire le porte all’Ucraina e prepararne l’ingresso nell’Unione: un’iniziativa che consentirebbe di temperare gli interventi di natura militare e di trovare una soluzione politica duratura per un Paese come l’Ucraina non proprio desideroso di ritrovarsi in una risorta Unione Sovietica.