Israele – Palestina, un conflitto dietro le quinte

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È da molto tempo che il conflitto fra Israele e la Palestina non appare più fra i titoli che occupano la scena internazionale, quasi completamente rivolti ad altri conflitti in Medio Oriente e, in particolare a due dei principali assi di tali conflitti: il terrorismo del fondamentalismo islamico e la fuga di milioni di profughi e richiedenti asilo.

Eppure, malgrado questo silenzio, molte cose si muovono sul versante dei rapporti fra Israele e Palestina, non fosse altro che per la posizione geografica occupata nell’area mediorientale e per le ricadute sulle loro politiche interne delle continue turbolenze e degli interessi regionali e internazionali che si giocano nell’area.

Per quanto riguarda il processo di pace, sembra ormai che il pessimismo regni sovrano, rendendo sempre più problematica l’idea di una futura costituzione di due Stati. È quanto emerge dalle recenti dichiarazioni del Coordinatore speciale dell’ONU, nominato nell’autunno scorso, il bulgaro Nikolai Mladenov. Eppure pare non manchino, in questi ultimi giorni, i tentativi diplomatici per cercare di riportare in vita un processo che dia qualche segnale di giustizia e di un futuro migliore e limiti quella escalation di violenza che si sta di nuovo registrando fra i due popoli, mettendo in evidenza, soprattutto da parte palestinese, la progressiva perdita di speranza e il sentimento di abbandono da parte della comunità internazionale.

La diplomazia sta lavorando a partire da una situazione divenuta ormai estremamente complessa e politicamente molto rigida, lasciando spazi di manovra molto limitati per un negoziato. Da parte israeliana, malgrado le condanne della comunità internazionale, non si sono fermate né le occupazioni da parte dei coloni in Cisgiordania né le continue distruzioni di abitazioni palestinesi ; da parte palestinese, il processo di riconciliazione tra Hamas e Fatah non ha fatto alcun passo avanti, e l’Autorità Palestinese non ha nessun controllo su Gaza.

Il Quartetto (Unione Europea, Stati Uniti, Russia e ONU), sta preparando un nuovo documento di strategia per rilanciare il dialogo e i negoziati, sottolineando tuttavia che l’approccio dovrà essere basato molto più su «ciò che è possibile fare che non su ciò che è desiderabile raggiungere». Un approccio che rivela la rassegnazione che aleggerà sui futuri negoziati, se mai si riapriranno, mettendo quasi in sordina il sacrosanto diritto della Palestina ad avere un suo Stato.

Anche la Francia ha presentato una proposta per riesumare il processo di pace interrotto ormai dall’aprile 2014, con la tenuta di una Conferenza, se possibile, prima dell’estate. Nel frattempo la Francia rimane in attesa delle proposte del Quartetto, anch’essa cosciente dei nuovi rischi che comporta una situazione di statu quo: non solo l’aumento di una incontrollabile violenza ma anche la possibile e pericolosa penetrazione ideologica del sedicente Stato islamico nei Territori occupati e a Gaza, penetrazione che potrebbe far leva sulle robuste frustrazioni delle giovani generazioni palestinesi.

E infine, la situazione si è ulteriormente complicata con la ripresa, in questi ultimi giorni, dei colloqui di pace a Ginevra, promossi dall’ONU, volti a trovare una soluzione al conflitto siriano e a delineare il futuro della Siria. In ballo le alture del Golan, occupate da Israele nel 1967 durante la guerra dei sei giorni, e mai riconosciute dalla comunità internazionale come appartenenti a Israele. Il Primo Ministro Netanyahu è stato chiaro nell’affermare che non abbandonerà mai le alture, considerate di grande interesse strategico per il suo Paese e da quarant’anni a questa parte oggetto di una guerra mai conclusa con la Siria.

E in questo scenario, la pace diventa purtroppo ogni giorno sempre più difficile e, nello stesso tempo, sempre più necessaria.

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