Bilancio Ue in lista d’attesa

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In questi tempi di Covid-19 la lista d’attesa non c’è solo per i tamponi, purtroppo si conferma anche a proposito dell’adozione del bilancio UE 2021-2027 e del Recovery Fund a questo collegato. Ricapitoliamo in breve questa complessa vicenda, conclusasi positivamente con la decisione del Consiglio europeo del 21 luglio scorso quando, dopo quattro giorni e quattro notti di aspri confronti, i governi dei 27 Paesi UE trovarono un accordo sul bilancio comunitario per il periodo 2021-2027, dotandolo di 1074 miliardi di euro e di 750 miliardi supplementari per rispondere all’emergenza economica. 

Si trattava di una decisione attesa da alcuni mesi, da attivare con la massima urgenza possibile. Ma altri tre mesi sono passati da allora e ancora non si è sciolto il bandolo della matassa per poter rendere operativa quella decisione e altri mesi ancora ci vorranno per riuscirci, mentre intanto il Covid-19 ha ripreso a galoppare in tutta l’Europa.

Sono ritardi che si spiegano da una parte con la natura inedita dell’operazione e dall’altra con la complessità delle procedure decisionali comunitarie. E’ la prima volta che le Istituzioni UE si trovano a dover trovare un accordo congiunto per due diverse operazioni finanziarie di grande volume tra loro strettamente intrecciate, quasi 2000 miliardi di euro, sottoposte ai vincoli derivanti dalla necessità di reperire risorse aggiuntive – la maggior parte di origine nazionale e in parte da risorse proprie UE – e dalla definizione di regole per l’accesso ai Fondi che garantiscano il rispetto dello stato di diritto, messo in pericolo da Paesi come la Polonia e l’Ungheria.

Su entrambi questi versanti permane un conflitto tra le due Autorità di bilancio, il Parlamento e il Consiglio europeo, che gli intensi negoziati di questi giorni non sono ancora riusciti a risolvere. Da una parte il Parlamento chiede un rafforzamento del bilancio di circa 39 miliardi in favore di capitoli come la ricerca, migrazioni, difesa e a sostegno del programma Erasmus e maggiore severità nel rispetto delle regole della democrazia per i Paesi beneficiari dei Fondi; dall’altra il Consiglio che ritiene di aver già alzato al massimo il volume delle risorse finanziarie con la decisione del 21 luglio e che non vuole avvelenare più di quanto già non avvenga il rapporto con Paesi membri destinatari di procedure di infrazione, come appunto Polonia e Ungheria. 

Tutto questo sotto il ricatto del voto all’unanimità e con la prospettiva di dover affrontare il rischio delle ratifiche dei parlamenti nazionali. Quest’ultima esigenza impone difficili compromessi per evitare brutte sorprese, al momento non da escludere: un percorso che comunque, bene che vada, richiederà tempo e non si concluderà prima della fine dell’anno. Con la conseguenza che il Recovery Fund difficilmente potrà essere attivato per intero prima dell’estate prossima, salvo potere intervenire retroattivamente nelle condizioni consentite. Un ritardo che rischia di trascinare con sé anche il bilancio UE 2021 obbligandolo ad attivarsi conformemente alla regola dei “dodicesimi provvisori”, consentendo cioè una spesa di mese in mese non superiore al dodicesimo di quanto speso nel 2020. 

Una complicazione di cui non abbiamo proprio bisogno in una congiuntura come l’attuale e che denuncia ancora una volta l’inadeguatezza del meccanismo istituzionale e, in particolare, quello della  famigerata regola dell’unanimità che, oltre a contrastare una fondamentale regola di democrazia, indebolisce anche il processo decisionale impedendo di dare risposte urgenti, come nel caso attuale, disorientando ulteriormente i cittadini europei.  

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