Schengen e dintorni

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La pentola dell’immigrazione non governata continua a bollire e ci dice che, anche qui, c’è chi fa le pentole e dimentica i coperchi. Accade non solo al diavolo, ma anche a governanti troppo preoccupati di imminenti consensi elettorali, senza visione «lunga» di un fenomeno complesso, che viene da lontano e non si fermerà   certo a Lampedusa nà© alle altre frontiere dell’Unione Europea.
Era già   capitato con la legge Bossi-Fini, tuttora in vigore e nella quale prevaleva sui molteplici aspetti del «problema immigrazione» – perchà© tale è e resta – quello della minaccia alla sicurezza e l’esorcismo della convivenza con l’»altro», percepito come invasore, prima che come persona dotata di diritti e di lavoratore potenzialmente prezioso per le nostre economie declinanti.
Ricapita adesso con il groviglio di regole inadeguate e spesso contraddittorie con le quali si cerca di arginare flussi di migranti, descritti impropriamente come «esodi biblici», nel tentativo ciascun Paese di disfarsene a spese del vicino: prima dall’Africa profonda verso la sponda mediterranea, poi dalla Tunisia verso l’Italia per continuare, per ora, da Ventimiglia verso la Francia e il resto dell’UE.
Un nome venuto alla ribalta delle cronache in questi ultimi tempi, è quello di Schengen, località   lussemburghese dove nel 1985 venne firmato tra cinque Paesi fondatori della Comunità   europea (mancava l’Italia, che avrebbe firmato nel 1990) un Accordo di libera circolazione che prevedeva l’abolizione dei controlli alle frontiere interne dell’UE per i cittadini comunitari e per tutti gli altri provvisti di un regolare permesso di soggiorno. Con il passare degli anni l’Accordo è stato allargato a 28 Paesi: è sulla base di questa normativa che si fonda la «trovata» del ministro Roberto Maroni del «permesso temporaneo» mirante a fare transitare i migranti di Lampedusa verso gli altri 27 Paesi UE, in particolare Francia e Germania. Peccato che questi passaggi di frontiera per i cittadini extra-comunitari sia vincolato a condizioni, che se rigorosamente applicate come ha fatto la Francia, impediscono in molti casi questo tipo di libera circolazione. Come amava dire il Presidente Sandro Pertini, «a brigante, brigante e mezzo» e così la «furbata» di Maroni non ha funzionato. E tuttavia un merito l’ha avuto: quello di stanare le ipocrisie degli uni e degli altri e obbligare l’indolente Commissione Europea a farsi carico di una revisione di quegli accordi, inadeguati e facilmente manipolabili.
Ma fin da subito Maroni deve fare i conti con un’altra normativa italiana bocciata dall’Europa: quella derivante dall’art. 14 della Bossi-Fini che punisce con la reclusione il reato di clandestinità  . E dire che lo avevano ripetuto in tanti, dalla magistratura a molti ambienti della società   civile e della comunità   ecclesiale fino all’Alto commissario ONU per i diritti umani , che fare della clandestinità   un reato da punire con il carcere era contrario al diritto e alle normative europee. Forte dell’idea che «l’Italia è la patria del diritto, ma anche del rovescio», il nostro governo ha mantenuto la pena del carcere, ed è andato a sbattere, la settimana scorsa, contro una sentenza della Corte di Giustizia UE che chiede la disapplicazione immediata e retroattiva di quelle disposizioni contrarie alla direttiva comunitaria sui «rimpatri», entrata in vigore a dicembre 2010, malgrado non fosse ancora stata recepita, nei tempi convenuti, nella legislazione nazionale. Così adesso bisogna svuotare le carceri di persone ingiustamente private della libertà  . Meno male che settori più avveduti della magistratura, com’è avvenuto a Torino, Milano e in altre città  , già   non avevano applicato il «diritto» inventato dalla Bossi-Fini, ma è una magra consolazione se si pensa all’ennesima figuraccia di questo governo sulla scena internazionale, che peggiora ulteriormente la sua immagine facendosi passare come vittima di un’Europa che ci vuole male.
Quello dei crescenti flussi di migranti, non solo in Italia e in Europa, ma anche in Africa e altrove, resta un problema di cui non s’intravede una soluzione nà© semplice nà© immediata. Come tutti i problemi che vengono da lontano – e in particolare dall’evoluzione sempre più squilibrata dell’economia mondiale – bisognerà   risalire alle cause per trovare nel tempo una risposta alla domanda di libertà   e di dignitose condizioni di vita che viene, e verrà   sempre più, da molte parti del mondo.
àƒÆ’à¢â‚¬° un tema da sottrarre alle (in)competenze dei ministri dell’Interno, perchà© se ne facciano carico collegialmente i governi, insieme con l’Unione Europea. Sarebbe già   un segnale incoraggiante se, in Italia, assumessero maggiori responsabilità   nella questione i ministri degli Esteri, dell’Economia e degli Affari sociali. Ancora meglio se vi prestasse un’attenzione più seria il nostro presidente del Consiglio, oggi in tutt’altre faccende affaccendato.

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