L’Europa guarda oltre la crisi, orizzonte 2020

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Da qualche mese ormai siamo nel 2010. Se si fossero realizzate le aspettative della Strategia di Lisbona, l’Europa sarebbe oggi «l’economia fondata sulla conoscenza più competitiva e dinamica al mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale». Niente di più lontano da quel che il 2010 offre nella realtà   ai cittadini europei, che si trovano nel mezzo della più grave crisi finanziaria della storia dell’Europa unita, con pesanti ripercussioni sull’economia reale. Come ci rivela la stessa Commissione Europea nel Rapporto sulla Protezione e l’Inclusione sociale, pubblicato nei giorni scorsi, in media un europeo su dieci è disoccupato e, se guardiamo alla popolazione giovanile, lo è uno su cinque. Disoccupate o con lavori non dignitosi, il numero di persone che si trovano sotto la soglia di povertà   è aumentato e ormai sfiora gli 80 milioni.
Ma la crisi si sta facendo sentire in maniera diversa nei vari Stati membri, aggravando le disparità   esistenti fra le regioni europee più ricche (in cui il PIL pro capite è tre volte quello della media UE) e quelle più povere (dove invece è solo un quarto).
In questo contesto, si moltiplicano gli appelli all’azione rivolti all’Unione Europea, da cui ci si aspetta un sostegno di emergenza – come nel caso della crisi finanziaria greca, di cui questo sito si è ampiamente occupato nelle scorse settimane – ma anche un piano di rilancio per i prossimi anni che abbia un impatto visibile sul livello di vita dei suoi cittadini.
La risposta della Commissione Europea a questi appelli è stata la comunicazione “Europa 2020 – Strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”, che costituirà   la base delle discussioni del Consiglio Europeo di primavera dedicato alle prospettive socio-economiche dell’Unione.
Come si puಠintuire dal titolo, Europa 2020 riprende fra le sue priorità   i tre pilastri della Strategia di Lisbona – economico, sociale e ambientale – evitando perಠlo sbilanciamento che c’era stato in questi anni a favore del primo. In particolare, la dimensione sociale sarà   centrale sia per quanto riguarda l’occupazione (l’obiettivo di Lisbona del 70% di occupati è elevato al 75%), sia per la lotta alla povertà   (senza indicatori quantitativi sotto Lisbona, mentre ora si punta a ridurla di un quarto), sempre nel tentativo di ridurre le disparità   territoriali. La sostenibilità   ambientale è una necessità   più pressante che in passato, per cui la Strategia si rifà   agli impegni già   presi dall’Unione con il pacchetto ambiente «20-20-20», in particolare per quanto riguarda l’obbligo di riduzione delle emissioni del 20%, obiettivo che secondo la Commissione potrebbe essere innalzato al 30% se ci saranno le condizioni.
La crescita “intelligente” rimanda invece all’idea che per essere competitiva l’Europa deve puntare sulla conoscenza e l’innovazione, come già   era stato proclamato dieci anni fa, senza che tuttavia i fatti abbiano seguito le parole: gli investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo, che avrebbero dovuto raggiungere la quota 3% del PIL, sono rimasti al palo all’1,9%, tant’è che l’obiettivo del 3% viene riproposto da Europa 2020.
Oltre a un parziale riorientamento delle priorità  , inevitabile a fronte dell’attuale crisi, Europa 2020 si differenzia dalla Strategia di Lisbona per il maggior coinvolgimento degli Stati Membri, innanzitutto nella sua definizione, con il Consiglio Europeo dei capi di Stato e di governo – ormai istituzione a pieno titolo guidata da un presidente stabile, il belga Von Rompuy – che vuole giocare un ruolo più attivo che in passato, senza accettare supinamente le proposte della Commissione. Ma il coinvolgimento degli Stati si manifesterà   soprattutto nell’implementazione della strategia, che dovrà   essere accuratamente adattata ai contesti nazionali. Allo stesso tempo, perà², la vigilanza europea rispetto agli obiettivi comuni sarà   potenziata, anche se non è ancora chiaro quali strumenti avranno a disposizione la Commissione e il Consiglio per sanzionare le infrazioni che senza dubbio ci saranno e di cui possiamo già   immaginare i responsabili.
Poco chiaro è anche un altro punto di non secondaria importanza: da dove proverranno i fondi per finanziare questo programma. Il bilancio europeo, fino al 2013 vincolato ad una programmazione pluriennale poco generosa, offre un limitato margine di manovra; d’altro canto, non sono messe meglio le casse degli Stati Membri, già   proiettati – secondo alcuni prematuramente – verso piani di rientro della spesa pubblica dopo le iniziative anti crisi di questi ultimi mesi. Nuovi strumenti finanziari – come l’emissione di “euro-bond”, o i partenariati pubblico-privato – sono oggetto di discussione, mentre con un’iniziativa comune il Partito Socialista Europeo, i Verdi e il gruppo dei Liberali hanno proposto di istituire una tassa europea sul consumo di carburante da parte degli aeromobili. In un primo dibattito alla commissione Occupazione e Affari Sociali del Parlamento Europeo, questi stessi gruppi, insieme a quello della Sinistra Unitaria, si sono mostrati molto critici nei confronti della proposta della Commissione, tacciata di essere declamatoria e di non prevedere nessuna misura concreta all’altezza della situazione.
L’attivismo dei gruppi politici europei in questo dibattito non è casuale. Infatti, non è un mistero che alla base del fallimento della Strategia di Lisbona ci sia stata la mancanza di volontà   politica di mettere in atto i suoi principi, visti come vuoti proclami dalla gran parte dei cittadini europei. Per scongiurare questo rischio – se pure il Trattato di Lisbona riserva al solo Consiglio Europeo il potere di definire gli orientamenti economici generali per l’UE – Barroso e Von Rompuy hanno manifestato a più riprese l’intenzione di coinvolgere maggiormente il Parlamento Europeo, i Parlamenti nazionali, le autorità   locali e la società   civile in Europa 2020. Tuttavia, se vuole evitare una deriva verso il metodo intergovernativo, il Parlamento Europeo dovrà   lottare con le unghie e con i denti per poter influire sull’esito finale di questa strategia. In effetti, con un coordinamento sempre più stretto della politica economica e fiscale a livello europeo, su cui i Parlamenti nazionali cedono una fetta sempre più grande della propria sovranità  , il rischio di un ampliamento del deficit democratico dell’UE è reale. Infatti, benchà© gli Stati siano senza dubbio legittimi rappresentanti dei propri cittadini, solo un processo decisionale trasparente e sottoposto al contraddittorio delle forze politiche di opposizione puಠdirsi pienamente democratico. I prossimi mesi ci diranno se il Parlamento europeo sarà   in grado di prendersi l’importante responsabilità   di diventare il luogo dove questo sia possibile, ma gli spiriti sono già   caldi.

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