Europa: mobilità   tranquilla all’interno e mobilitazioni turbolente all’esterno

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Le cronache di questi giorni hanno giustamente attirato la nostra attenzione sulle turbolenze che agitano gli ambienti fondamentalisti islamici, sfociate in violenze su persone e simboli dell’Occidente, in particolare europeo. Già   molto è stato detto sulla pretestuosità   delle cause invocate – i discutibili disegni satirici danesi – e sulla natura poco spontanea di questi movimenti in Paesi che non brillano certo nà© per la libertà   di espressione, riscoperta per l’occasione, nà© per forme particolarmente avanzate di democrazia. Alcune voci si sono anche levate, e non senza ragione, sulla risposta inizialmente timida dell’Unione europea alle aggressioni subite. Ci vorrà   tempo e mente fredda per valutare il significato profondo di questi episodi e formulare politiche adeguate nell’UE per salvaguardare i nostri valori e insieme la nostra capacità   di dialogo con culture diverse. Intanto viene in mente quanto ci aiuterebbe oggi avere tra le mani, e presto in vigore, la Costituzione europea, oggi sospesa nel vuoto in seguito agli azzardati referendum francese e olandese, nonostante la ratifica ormai definitiva da parte di 14 Paesi membri dell’UE. Ma poichà© serve a poco piangere sul latte versato e ancor meno dilettarsi di brutte notizie, tiriamo un momento il fiato e soffermiamoci sui rari squarci di sereno che offre questa difficile stagione.
Nessuna «invasione» con l’allargamento dell’UE nel 2004
Chi non ricorda le paure di un’»invasione» da Est con l’allargamento dell’UE nel 2004? Paure per la verità   non del tutto sopite se si hanno a mente alcuni deliranti temi introdotti nel dibattito sulla Costituzione: allora ci fu chi seminಠil panico al grido di «mamma li turchi» ed oggi ancora serpeggia la paura di cosa avverrà   mai l’anno prossimo con l’ingresso nell’UE di Romania e Bulgaria. Per la verità   di queste inquietudini si fecero doverosamente carico le Istituzioni europee nel corso del negoziato di adesione, imponendo ai nuovi Paesi membri – che certo non apprezzarono, come nà© è prova una certa comprensibile disaffezione europea – lunghi periodi transitori per una piena libera circolazione nei 15 Paesi dell’UE dei lavoratori dei Paesi nuovi arrivati. Il risultato fu l’adozione di proroghe alla libera circolazione fino al 30 aprile 2009, con la possibilità   di un ulteriore rinvio di due anni in caso di provata perturbazione dei mercati del lavoro dei 15. Non proprio un messaggio di calda accoglienza verso i nuovi arrivati, giunti all’appuntamento della riunificazione dell’Europa dopo decenni di gelo sovietico e dopo essere stati in lista d’attesa una quindicina d’anni dopo la caduta del Muro di Berlino.
Adesso, un documento importante – ma anche trascurato dai «media» in altre faccende affaccendati – della Commissione europea ci dice che le cose sono andate molto diversamente e che molto polverone è stato sollevato per nulla (o solo per bieche tattiche elettorali, tuttora in corso). Il Trattato di adesione del 2003 imponeva alla Commissione di monitorare l’andamento dei flussi di lavoratori verso i 15 Paesi della vecchia UE al fine di consentire a quei Governi di modificare o meno le loro decisioni sull’apertura delle frontiere, alla data concordata del 30 aprile 2006.
E questa è appunto la buona notizia giunta da Bruxelles la settimana scorsa: i mercati del lavoro dei Paesi (Gran Bretagna, Irlanda e Svezia) che hanno aperto subito le loro frontiere ai lavoratori dei nuovi Paesi hanno registrato effetti positivi e comunque migliori dei Paesi che – come l’Italia – hanno imposto un periodo transitorio impedendo la libera circolazione ma non riuscendo ad impedire il diffondersi del lavoro nero o comunque irregolare. Di più, è accaduto che per effetto di un miglioramento della situazione economica i tre Paesi «aperti» hanno registrato una riduzione della disoccupazione, anche perchà© i lavoratori dei nuovi Paesi hanno colmato spazi vuoti del mercato del lavoro e hanno inoltre contribuito alla creazione di nuova occupazione grazie all’avvio di nuovi circuiti economici.
Nei nuovi Paesi entrati nell’UE, la forte crescita economica ( nel 2005 del 10% in Lituania e del 12% nella Repubblica ceca) non solo trattiene i lavoratori ma in alcuni casi induce al ritorno quanti erano emigrati. In questo contesto, Spagna e Finlandia hanno annunciato che apriranno le loro frontiere al 1° maggio 2006: si aspetta adesso di conoscere la decisione degli altri Paesi dei 15, tra cui l’Italia.
Tutto ciಠdovrebbe indurci a guardare senza angosce alla prospettiva dei futuri allargamenti, come ha fatto la Repubblica ceca che giࠠ ha annunciato che non imporrࠠ periodi transitori alla Romania e alla Bulgaria.
Sarebbe eccessivo ricavare da queste prime buone notizie la conclusione che l’UE debba dilatarsi senza limiti e precipitosamente. Certo si deve costatare che l’ingresso nell’UE fa bene a chi entra e ancor di più a chi già   c’è. E l’Europa, troppo timida e arrendevole verso chi si agita fuori dai suoi confini, farà   prova di coraggio a non farvisi chiudere dentro come in una fortezza assediata e ancor meglio farà   ad aprire le sue porte, pena la perdita di fiducia in se stessa, nei suoi valori democratici e l’indebolimento della sua presenza sulla scena mondiale.

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