Chi paga la crisi?

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Non sarà   un nuovo maggio ’68, certo perಠondate di proteste crescono un po’ ovunque in Europa. Le piazze tornano a popolarsi di gente che sente il peso di una crisi che i governanti più sfacciati tentano di negare e quelli più furbi di occultare dietro poco credibili promesse di uscita dal tunnel. Ha un bel dire il ministro Giulio Tremonti che la ripresa è dietro l’angolo e che i conti pubblici sono sotto controllo: purtroppo non è quanto registrano le istituzioni finanziarie internazionali e il monitoraggio attento della Banca centrale europea (BCE) e della Commissione Europea.
Non lo pensa nemmeno una delle più importanti agenzie di rating, come la Standard&Poor’s, che non è ottimista sulle prospettive dell’economia italiana vista l’instabilità   del quadro politico e l’incapacità   di mettere mano a serie riforme condivise. Non stupiscono le reazioni rassicuranti dei nostri ministri addetti alla propaganda e alla difesa delle poltrone; stupisce invece chi nel sindacato, come Raffaele Bonanni, grida all’allarmismo ingiustificato quando dovrebbe vedere ogni giorno che cosa vivono i lavoratori o, peggio ancora, i molti che il lavoro non ce l’hanno o ne hanno uno precario e che molti sindacalisti non vedono nemmeno da lontano.
Sarà   pur vero che delle agenzie di rating è prudente diffidare, ma è anche vero che le nere previsioni su Grecia e Portogallo le hanno azzeccate e, soprattutto, i dati dei conti pubblici italiani sono evidenti e il ritmo lento della crescita – uno stentato 1% del PIL – sotto gli occhi di tutti.
Nella lista dei 27 Paesi UE siamo tra gli ultimi per la crescita, tra i primi per tasso di inflazione e primi per il debito pubblico, ormai doppio rispetto a quanto fissato dai Trattati europei. Se a questo si aggiunge la fragilità   del quadro politico, la pressione fiscale da una parte e la massiccia evasione dall’altra, allora c’è poco da stare allegri. Soprattutto se si ha a mente che l’Italia si è impegnata a raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2014 e ridurre progressivamente il debito pubblico del 5% annuo obiettivo che per essere raggiunto comporta radicali tagli alla spesa pubblica e implica il fatto di poter contare su un tasso di crescita del 2% annuo: due strade in salita, in particolare la prima se non trova il consenso degli elettori che già   si stanno facendo due conti su quanto dovranno pagare per la finanziaria da 40 miliardi annunciata per il 2013-2014. Altrochà© continuare con le sanatorie e promettere l’annullamento delle multe come avviene nella campagna elettorale milanese di Letizia Moratti, sperando di mettere a segno il colpo di un’altra vigilia elettorale con la soppressione dell’ICI.
Perchà© alla fine il problema è sempre lo stesso: a chi toccherà   pagare? Sempre i soliti noti, quelli che già   pagano le tasse fino all’ultimo centesimo o anche, e soprattutto, chi lucra con le operazioni finanziarie e con l’arte antica dell’evasione fiscale?
Quello che sta capitando in questi giorni nelle piazze spagnole e che ormai si ripete regolarmente nelle piazze greche, portoghesi e di molti Paesi europei manda a dire proprio questo: non è tollerabile che continuino a pagare pensionati ai quali si riduce o congela la pensione e giovani per i quali – quasi uno su due in Spagna e uno su tre in Italia – non c’è lavoro.
Per quello che ancora è in grado di rappresentare, lo ha denunciato da Atene, dove teneva il suo Congresso, la Confederazione Europea dei Sindacati (CES) in una lettera ai ministri europei delle Finanze: «L’austerità   brutale, sia per quanto riguarda le finanze pubbliche che i salari, non funziona ma al contrario distrugge le economie di Paesi come la Grecia, l’Irlanda e la Romania». E nella sua risoluzione adottata d’urgenza, la CES ricorda che la Grecia ha bisogno di prospettive di crescita e che l’Europa deve cambiare rotta perchà© «l’aiuto finanziario ai Paesi deficitari non deve ostacolare la crescita nà© essere legato a misure di austerità   antisociale che aggraverebbero la spirale negativa. Bisogna dunque mettere fine immediatamente alle privatizzazioni e ai à¢à¢â€š¬à‹Å“diktat’ unilaterali nei confronti delle Grecia e degli altri Paesi deficitari che non fanno che esacerbare la situazione nella zona euro».
Parole chiare, oggi in favore della Grecia, ma domani probabilmente di attualità   per altri Paesi, Italia inclusa. Parole che sarebbero anche più credibili se i sindacati agissero nell’unità   – e non divisi come in Italia – e se i movimenti fossero capaci di convergere in una strategia unitaria per una battaglia che si annuncia difficile e, per molti, drammatica

1 COMMENTO

  1. Allarmismo ingiustificato della CISL?? Stupisce il “qualunquismo” che non favorisce, con gli “slogan” nè investimenti che ritardano risposte alle migliaia di giovani che sono in attesa di lavoro. Non generalizzaziamo, ma costruiamo insieme!! Perchè sia gli ex sindacalisti che i dirigenti Cisl in carica “vedono da vicino” il disagio del cassaintegrato, del precario e delle migliaia, si, di inoccupati che “pagano la crisi”.
    Il Segretario della Cisl di Frosinone ha detto il primo maggio 2011:«Se a Cassino venisse applicato l’accordo di Mirafiori, quindi una maggiore utlizzazione degli impianti, con 18 turni,per esempio, si determinerebbero le condizioni per l’assunzione di oltre 3 mila nuovi lavoratori direttammente in Fiat e più 12 mila nell’indotto, in quanto il rapporto è di 1 a 4». Il sottoscritto ex Segretario Provinciale e Regionale Cisl Lazio, ieri 21 maggio, quale tecnico agrario, ha rilevato e richiesto alla Regione Lazio una “gestione straordinaria” del piano di sviluppo rurale regionale, constatato che in 52 mesi,dal gennaio 2007 all’aprile 2011, sono stati resi disponibili per gli agricoltori appena il 23.32% delle risorse assegnate dall’Unione Europea (€703.933.071,00).Altro che allarmismo di Bonanni? Se nei restanti 32 mesi (fine dicembre 2013) non sarà  utilizzato il residuo 78,68% le risorse assegnate per lo sviluppo rurale del Lazio, ritornano al Fondo europeo.Questo si, è un concreto allarme!!
    Donato Galeone

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