Le responsabilità   dell’Europa nella turbolenza finanziaria

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In questo mondo globalizzato non è bastato l’oceano a proteggere l’Europa da turbolenze finanziarie epocali. E non è bastata nemmeno alla «vecchia Europa» la sua più antica saggezza e il suo mercato relativamente più regolato per resistere alla tempesta abbattutasi da oltre-Atlantico. A giudizio di molti osservatori, eventi di queste dimensioni accadono una volta in un secolo. Questa volta ci è toccato viverlo già   fin dal primo decennio: speriamo che basti per il resto del secolo, anche se nulla è meno sicuro.
La turbolenza in corso viene in realtà   da lontano e per molti aspetti è tutt’altro che una sorpresa. Vi hanno contribuito una concezione del mercato privo o quasi di regole, una gestione politica dell’economia americana a forte dominante liberista (soprattutto, ma non solo, durante l’Amministrazione Bush), un prevalere della finanza – talmente creativa da produrre una giungla di «prodotti tossici» se non fraudolenti – sull’economia reale e più ancora sul duro lavoro di miliardi di persone.
Ma forse, più di tutto, si è rivelata particolarmente distruttiva l’assenza di una dimensione etica tra molti operatori finanziari, avidi per sà© o per le loro spregiudicate «banche d’affari» che hanno cercato rapidi profitti con comportamenti da rapina.
Tutto questo è avvenuto in misura ampia negli USA, ma anche altrove, Europa compresa.
In questa nostra Unione europea che pretende – come recita il Trattato di Lisbona – di promuovere al suo interno una «economia sociale di mercato» qualcosa non ha funzionato. Non solo per l’assenza di una vigilanza efficace da parte della Banca Centrale Europea (BCE), peraltro poco attrezzata per la bisogna, ma anche e soprattutto per la deriva dell’economia europea verso una crescente affezione per il libero mercato e una conseguente disaffezione per la sua regolazione sociale.
E adesso, come è giusto, i risultati si vedono e ancora si vedranno a lungo. Tra questi, l’impatto disastroso sull’economia reale, la prima ad essere punita e con essa l’occupazione e tutto il mondo del lavoro. Aspettando di vedere che cosa accadrà   per lo Stato sociale già   da tempo sotto pressione e, per alcuni aspetti, in corso di smantellamento.
E paradossalmente, mentre si indebolisce lo Stato-sociale riappare in Europa lo Stato-padrone, quello che nel Regno Unito e in Belgio ha parzialmente nazionalizzato le banche sull’orlo del baratro. Più d’uno si chiede a questo punto dove si fermerà   il pendolo: prima tutto spostato sul libero mercato e la religione della concorrenza spietata e adesso proiettato in favore dell’intervento pubblico e del salvataggio delle aziende in crisi. Non è una novità  : in Italia un segnale in questo senso sta venendo dalla vicenda Alitalia. Sarà   interessante in questo clima vedere la reazione dell’UE di fronte ad un intervento del governo italiano che assomiglia pericolosamente ad un aiuto di Stato, prima con la concessione di un «prestito» di 300 milioni di euro e ora con la presa in carico da parte della collettività  , e quindi dei contribuenti, dei debiti della vecchia Alitalia, concentrati nella cosiddetta «bad company», una sorta di pattumiera dei rifiuti.
Per l’UE si annuncia un vortice di contraddizioni, ma forse anche l’occasione per ripensare il progetto di integrazione alla luce di un maggiore equilibrio tra Stato e mercato, tra solidarietà   e competizione e per dare finalmente vita ad un governo europeo dell’economia in un quadro di sussidiarietà   tra privato e pubblico e tra i diversi poteri: europei, nazionali e locali.
Intanto perಠbisogna fin da subito fare i conti con le pesanti conseguenze del terremoto in corso. Tra tutte, la più perniciosa sembra essere, a fronte dell’assenza di responsabilità   sociale e di rigore etico, la caduta di fiducia che già   ha investito le istituzioni finanziarie e che difficilmente si arresterà   in tempi brevi.
àˆ probabile che ora la crisi finanziaria aggravi la crisi economica già   in atto e inneschi una generale sfiducia nelle istituzioni che governano – o avrebbero dovuto governare – l’economia: una sorta di «bancarotta politica» di cui non abbiamo certo bisogno, specialmente in Italia.
Probabilmente è di qui che bisognerà   ripartire per risalire la china. A poco servono in questa situazione le dichiarazioni rassicuranti dei responsabili politici a cittadini diffidenti e delusi di fronte allo spettacolo di una politica verbosa e impotente.
Le turbolenze in corso servano prima di tutto di lezione ad entrambi: ai politici perchà© facciano il loro mestiere ascoltando i cittadini e ai cittadini perchà© imparino a essere più severi nel dispensare fiducia a chi li governa, affinchà© sugli interessi di pochi prevalga la ricerca del bene comune.

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