L’insostenibile leggerezza della discriminazione

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Anno Europeo 2007Si è tenuta in questi giorni a Lisbona la Conferenza di chiusura dell’Anno europeo delle pari opportunità   per tutti, dedicato dall’Unione europea ad attirare l’attenzione dei cittadini sui vantaggi della diversità   – risorsa e non problema – e a sensibilizzarli sul loro diritto a godere di un eguale trattamento e di una vita priva di discriminazioni determinate da sesso, origine etnica, razza, handicap, orientamento sessuale, religione o convinzioni personali.
Ufficialmente aperto il 30 gennaio scorso a Berlino con l’Equality Summit & Opening Conference, iniziativa congiunta della Commissione europea e dell’allora presidenza tedesca dell’UE, l’Anno delle pari opportunità   cade esattamente dieci anni dopo l’Anno europeo contro il razzismo e l’introduzione, nel Trattato dell’UE, dell’articolo 13, che vieta ogni forma di discriminazione.
Diritti, rappresentatività  , riconoscimento e rispetto sono state le parole d’ordine dell’Anno, che ha visto succedersi oltre un migliaio di attività   svoltesi a livello locale, regionale e nazionale.
15 i milioni di euro stanziati dalla Commissione europea per finanziare le iniziative: tra queste, meritano una citazione il Summit sulle pari opportunità  , la campagna di informazione condotta su scala europea per discutere e riflettere sui benefici delle diversità   nell’UE e il sondaggio Eurobarometro, pubblicato il 19 novembre scorso, sui temi legati alla discriminazione. Inoltre, con circa un milione di euro sono stati sovvenzionati 19 progetti ripartiti su 12 Paesi, aventi per oggetto l’inclusione della comunità   rom nel tessuto sociale. Un altro successo dell’Anno europeo è stato la creazione di nuovi partenariati e dialoghi tra Stati per promuovere la parità  .
In sostanza, in Europa, quello delle pari opportunità   è un principio acquisito, almeno in teoria: ne è prova anche l’enfasi posta dalla Strategia di Lisbona sul tema dell’occupazione femminile. Il documento, risalente al 2000, si poneva l’ambizioso obiettivo di raggiungere entro il 2010 la soglia del 60% di donne lavoratrici nei 27 Stati membri. àˆ perಠsempre di questi giorni la denuncia secondo cui l’Italia, il cui tasso di occupazione femminile nel 2006 si attestava al 46,3% rispetto al 57,4% della media europea, si trova largamente al di sotto dell’obiettivo finale e anche di quello intermedio, fissato al 57% per il 2005.
Questo mostra come troppo spesso si ritenga che la parità   significhi semplicemente che tutti gli individui debbano essere trattati allo stesso modo, indipendentemente da sesso, appartenenza etnica, ecc. Un trattamento identico porterebbe a una «parità   formale», certo, ma potrebbe non essere sufficiente per ottenere una parità   nella pratica. Per realizzare concretamente la parità  , ovvero la parità   sostanziale, per abbattere quei «soffitti di cristallo» che ancora creano differenze più o meno sottili di trattamento nella nostra società  , sono necessarie misure compensative per combattere gli effetti della discriminazione passata, oltre che di quella attuale. La vera sfida consiste ora nel rapportarsi con una società   dove ci sono molti più pregiudizi che persecutori, e dove le vittime sono spesso inconsapevoli del fatto che le proprie difficoltà   sociali derivano dalle loro origini etniche o razziali, dal loro genere o dalla loro religione.
Il primo passo consiste nel rendere visibile l’invisibile, ossia cercare indicatori che rivelino i processi discriminatori senza aspettare passivamente una reazione delle potenziali vittime. La legislazione rappresenta certo un utile strumento nella lotta contro la discriminazione, ma per cambiare atteggiamenti e comportamenti è necessario uno sforzo continuo, che sostenga la normativa con misure concrete. Tra queste, è sicuramente degno di menzione il Programma comunitario Progress, lanciato quest’anno e dotato di un bilancio complessivo di 630 milioni di euro per il periodo 2007/2013, che intende finanziare e sostenere enti e iniziative volte alla concreta promozione dell’occupazione e della solidarietà   sociale. Altra risposta proviene dall’azione positiva, promossa all’interno dell’UE da qualche anno, che prevede un pacchetto di misure adottate per compensare gli svantaggi presenti e passati provocati dalla discriminazione.
Inoltre, proprio in questi giorni il commissario europeo alla Politica regionale, Danuta Hà ¼bner, ha presentato un’iniziativa volta a migliorare l’accesso al microcredito delle piccole imprese e delle persone minacciate dall’esclusione sociale, comprese le minoranze etniche, che intendano avviare un’attività   autonoma. Ed è della scorsa settimana la notizia che la Corte europea dei diritti dell’uomo, con una sentenza già   definita storica, ha condannato la prassi, in uso nella Repubblica Ceca, di mandare sistematicamente i bambini appartenenti alla minoranza rom in scuole speciali, in cui sono riconosciuti livelli di qualifica nettamente inferiori a quelli degli altri cittadini cechi.
Le nostre differenze – lo dice il motto stesso dell’UE – sono la nostra forza: i vantaggi che l’Europa puಠtrarre dalla valorizzazione di una società   diversa sono enormi. Garantire e non soltanto promuovere le pari opportunità   è ciಠche, a tutti gli effetti, puಠfarci sentire «a casa, in Europa».

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