FIAT: e la chiamavano Fabbrica Italia

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Quello che veramente sorprende, all’indomani dell’annuncio della FIAT di trasferire produzioni importanti da Mirafiori in Serbia, è il numero e il ruolo di quanti si dichiarano sorpresi.
In particolare sorprende la sorpresa del ministro competente, in attesa che si materializzi quello dello «Sviluppo e attività   produttive», atteso ormai da tre mesi, e quelle di alcuni leaders sindacali.
Ma che nella maggioranza di governo si siano fatti cogliere dalla «sorpresa» non sorprende, in verità  , più di tanto: occupati a blindare una manovra finanziaria senza stimoli per un’economia ancora in crisi, a parlare d’altro come nel caso della storia infinita delle intercettazioni e assorbiti da quotidiane lotte intestine sullo sfondo di una corruzione diffusa, era inevitabile che ci si distraesse dai problemi del Paese e dei suoi cittadini.
Nà© era stato colto dal governo il segnale in arrivo dalla vicenda della FIAT a Pomigliano. Prima assente di fronte all’ingiunzione unilaterale di Sergio Marchionne ad avviare la demolizione del contratto nazionale e poi rassicurante nel ritenere il nuovo accordo – rifiutato da quasi il 40% dei lavoratori interessati – un «unicum» che non si sarebbe ripetuto, il governo si era limitato a gestirne gli incerti risultati chiedendo alla FIAT di mantenere le sue promesse.
Forse più grave ancora che alcuni sindacati non si siano resi conto della svolta avvenuta nelle relazioni industriali e da essi sostenuta, alcuni loro leaders addirittura enfatizzando la bontà   innovativa di un «accordo storico» . Era chiaro fin dal primo momento che non di banale svolta si trattava, ma di un accordo «storico» sì, ma per la breccia che apriva nelle relazioni industriali oltre che nella coesione sindacale, come avrebbero poi confermato i licenziamenti inflitti senza tanti complimenti ai «ribelli» a sud e i premi di produttività   non corrisposti a nord. Qualcuno mise sul conto dei «lavoratori del sud» quanto stava accadendo, un diversivo invocato anche da Marchionne contro «quelli del calcio» che facevano sciopero per vedere la partita.
Adesso la seconda e non ultima puntata: dal sud disastrato dove la disoccupazione ha percentuali da capogiro, soprattutto tra i giovani, con indici sopra il 30%, la FIAT prosegue nella sua nuova strategia al nord, in quella Torino che le fu culla e capitale ed oggi rischia di diventarne un «optional», stretta tra la più docili maestranze della Chrysler negli USA, l’aggressività   dei draghi nei nuovi promettenti mercati asiatici, dove la coreana Hyundai-Kia ha appena superato la produzione della giapponese Toyota e con la Cina, dove nel 2009 sono stati venduti 13,6 milioni di veicoli e si è solo all’inizio.
Il mondo è cambiato:«è la globalizzazione bellezza e non ci puoi fare niente». àƒÆ’à¢â‚¬° vero, nell’immediato non ci puoi fare molto, soprattutto se questa globalizzazione si è rinunciato a governarla: un po’ perchà© luoghi regolatori di equivalente livello delle multinazionali non se ne vedono crescere in efficacia e molto perchà© là   dove i regolatori pubblici ci sono – i governi nazionali e, per noi, l’Unione Europea – non si mettono in atto politiche industriali che tengano conto della nuova divisione dei mercati, dove l’auto tradizionale è ormai un prodotto maturo che altri fanno meglio e a minor costo di noi (per restare con la FIAT in Europa: in Italia 22.000 operai per 650.000 vetture, in Polonia 6.100 operai per 600.000 vetture) e dove l’auto del futuro ha bisogno di massicci investimenti in ricerca, su cui in molti lesinano e, qui da noi, tagliano.
Accade diversamente in Germania: anche la Volkswagen è un colosso che viene dal passato, anche lì il costo del lavoro è alto – il più alto del pianeta – e i diritti «costosi», perchà© più rispettati che da noi, eppure gli insediamenti tedeschi resistono. E questo perchà© il costo del lavoro, nell’industria automobilistica, è valutato attorno al 7% del costo finale e merito, oltre che di relazioni industriali che funzionano, di una politica preveggente che nell’ultima finanziaria ha operato tagli molto più pesanti che in Italia, ma dove sono stati considerevolmente aumentati gli investimenti per la formazione e la ricerca. Proprio l’esatto contrario di quanto sta avvenendo da noi, dove continuando a tagliare sulla ricerca stiamo tagliando il ramo su cui stiamo pigramente seduti.
Inutile nascondersi che Marchionne ha non pochi argomenti dalla sua, almeno nel breve periodo e almeno fin quando «l’auto va». Ma verrà   un giorno, e non è lontano, in cui questa auto di oggi, divoratrice di petrolio e inquinante, in coda su strade congestionate, si rivelerà  , qui da noi, un prodotto obsoleto in un mercato saturato.
Queste considerazioni continueranno a pesare poco per gli azionisti di FIAT in attesa di dividendi immediati. Dovrebbero invece pesare molto per chi ha la responsabilità   del bene comune e del futuro di questo Paese, sempre in ritardo di una crisi e raramente in anticipo su una soluzione che solo la politica – quella buona, s’intende – potrebbe favorire, non con gli incentivi alla rottamazione, ma con consistenti investimenti nella ricerca e nell’innovazione e nuove politiche fiscali.
E questo a tutti i livelli istituzionali: da quelli locali, senza delirare su autonome politiche industriali regionali, a quelli nazionali, che in questi ultimi anni sono stati colpevolmente latitanti, fino a quelli dell’UE, forse l’unico regolatore pubblico che potrebbe essere in grado di affrontare sfide di queste dimensioni.

2 COMMENTI

  1. Tra i sorpresi e colpevoli andrebbero annotati anche i dirigenti del PD e il sindaco di Torino Chiamparino. I primi a furia di dichiararsi “neutrali tra capitali e lavoro” e a cercare gli appoggi del Montezemolo di turno non han saputo far meglio che pigolare il più flebilmente possibile cercando di non farsi notare troppo, il secondo non ha saputo far di meglio di dar la colpa ai lavoratori di Pomigliano…Forse se la FIOM non fosse sempre da sola ma potesse contare su una sponda politica e culturale degna per Marchionne non sarebbe così facile fare il bello e il cattivo tempo

  2. Penso anch’io che la lista delle responsabilità  nella vicenda FIAT sia più lunga di quella ricordata. Su quelle dei partiti, a destra e a sinistra, non ho detto nulla perchè penso che il livello di intervento fosse quello nazionale dove il PD qualcosa ha detto e dove altre forze a sinistra non sono purtroppo presenti. Quanto al sindaco di Torino, ritengo che non molto possa fare il livello locale (dovrebbe averlo più chiaro Cota, a cui sarebbe utile spiegare le dimensioni della vicenda) e che qualcosa di buono in proposito abbia fatto nel 2005 con le poche risorse disponibili allora, figuriamoci adesso con le casse vuote degi Enti locali.

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