E adesso, Europa?

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Difficile dire, all’indomani delle recenti elezioni, quale sarà   la traiettoria dell’Unione Europea nei mesi ed anni che verranno. Vi incideranno certo il nuovo profilo politico del Parlamento, ma anche la futura guida della Commissione e, se verrà   ratificato il Trattato di Lisbona, quella del Consiglio europeo e del «ministro degli Esteri». Ma forse più ancora peseranno altre vicende in corso fuori dall’Europa.
Dagli sviluppi della politica americana di Obama, in casa propria e nel resto del mondo, da quanto potrà   succedere nel Medioriente dove saliranno le tensioni dopo la rielezione di Ahmadinejead in Iran, in Estremo Oriente dove si conferma la follia nucleare nord-coreana fino ad Afghanistan e Pakistan da dove continuano a non giungere buone notizie. Se a queste aree di instabilità   – e non sono le sole – si aggiunge il perdurare e l’aggravarsi della crisi economica con le sue pesanti ricadute occupazionali, allora il quadro si fa particolarmente complesso e le sue molte variabili rendono difficile qualsiasi previsione.
Volendo provare comunque ad isolare l’Europa in questo contesto e limitando la previsione al solo 2009, vanno segnalati alcuni passaggi che uno dopo l’altro ci diranno qualcosa della direzione – almeno di quella istituzionale – che prenderà   l’Unione Europea.
Un primo, provvisorio messaggio è quello del Consiglio Europeo appena tenutosi a Bruxelles: i capi di Stato e di governo hanno preso atto del risultato europeo che ha confermato un sostanziale consenso ad una maggioranza di centrodestra non solo nel Parlamento Europeo ma anche, e soprattutto, a venti dei ventisette governi dei Paesi membri dell’UE usciti indenni, se non addirittura rafforzati, dalla crisi economica in corso.
A metà   luglio si insedierà   il nuovo Parlamento: eleggerà   il suo presidente e si esprimerà   sulla futura presidenza della Commissione Europea, dopo aver fatto un bilancio della modesta presidenza ceca dell’UE e una prima valutazione del programma della nuova presidenza di turno svedese, che non dovrebbe avere difficoltà   a fare meglio di quella ceca.
Sui due appuntamenti di giugno e luglio pesa un complicato groviglio istituzionale, causato dal prolungarsi dell’attesa ratifica del Trattato di Lisbona, quando gli irlandesi saranno chiamati ad esprimersi di un secondo referendum «di riparazione», sempre che nel frattempo non si verifichino altri incidenti, in particolare nel caso di una caduta del governo laburista inglese.
Cresce l’orientamento delle forze politiche europee a rinviare a dopo la ratifica del Trattato di Lisbona la nomina di tutti i nuovi vertici istituzionali, dal presidente della Commissione a quello del Consiglio Europeo e dell’Alto rappresentante per la politica estera. I candidati sono noti, ma altri potrebbero manifestarsi ancora: il modesto Barroso per la Commissione, l’ambiguo Blair per il Consiglio Europeo e lo svedese Bildt per gli Esteri.
Fuori da questo groviglio, denso di interessi nazionali dove quelli italiani non hanno nessun ascolto, sarà   interessante vedere quale sarà   la decisione – questa non rinviabile – per la presidenza del Parlamento il prossimo 15 luglio.
àˆ tradizione consolidata che questa presidenza se la aggiudichi il condominio popolar-socialista: il Partito popolare europeo (PPE) per la prima metà   legislatura e il Partito socialista europeo per la seconda metà  . Questa volta perಠi due maggiori partiti – oggi con una netta prevalenza del PPE (263 seggi) dopo la severa flessione socialista (161 seggi) – devono fare i conti con i liberali (con 80 seggi) e i Verdi (balzati a 52 seggi), oltre che con modifiche delle appartenenze interne: l’uscita dal PPE dei conservatori inglesi e la possibile ricomposizione del Partito socialista in un’Alleanza di socialisti e democratici europei (ASDE) in grado così di accogliere gli eletti del Partito democratico italiano.
Per non semplificare il quadro, ci sono al Parlamento europeo un numero non indifferente di «non iscritti» e una banda di euroscettici e xenofobi che, con la loro cinquantina di seggi, potrebbero essere dei guastafeste non indifferenti.
Su queste ed altre vicende si vedrà   più chiaro entro metà   luglio. Intanto perಠgià   qualche giorno prima ci sarà   stato il G8 dei Paesi più industrializzati a l’Aquila in vista del G20 – sicuramente un foro ben più decisivo – che si terrà   in autunno a Washington sotto la presidenza di Obama. Improbabile che di qui ad allora l’UE definisca una sua posizione comune sulle risposte da dare alla crisi economica, mentre si fa sempre più probabile che l’autunno registri un’ulteriore impennata della disoccupazione, a cominciare dall’Italia cui non offrono riparo facili dichiarazioni di ottimismo e disinvolte letture delle statistiche sui lavoratori privi di tutele.
Facile prevedere che ci mancherà   molto l’Europa in autunno, ma sarà   ingeneroso attribuirle responsabilità   che gli elettori – e più ancora i suoi non- elettori, quasi sei su dieci aventi diritto al voto – non hanno ritenuto opportuno affidarle, privando il Parlamento di una forte legittimità   popolare.
Vale la regola di sempre in democrazia: abbiamo le istituzioni, le politiche e i governanti che tutti insieme ci meritiamo. Come in Italia, anche in Europa.

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