Visto da Bruxelles

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Essere a Bruxelles nei giorni scorsi mi ha fatto pensare di essere al posto giusto nel momento giusto, almeno per capire qualcosa di un intreccio di vicende in corso in Europa, con epicentro nella capitale del Belgio.
Erano i giorni in cui l’Italia sembrava vivere sospesa nel vuoto tra Pontida e Roma, il Belgio «celebrava» un intero anno senza essere riuscito a mettere insieme un governo dopo le elezioni di giugno 2010 e l’Unione Europea viveva giorni concitati con ministri e capi di Stato e di governo in riunioni ininterrotte per impedire la bancarotta della Grecia, salvare l’euro, l’UE e tutti noi da un drammatico fallimento.
Vicende diverse tra di loro per natura e gravità  , ma con un denominatore comune: la difficoltà   delle nostre democrazie a governare società   complesse, tenere insieme i diversi nord e sud d’Europa e promuovere coesione dentro le turbolenze del mondo globale.
Cominciamo dal Belgio. Un Paese di dieci milioni di abitanti, una storia ricca di cultura, un passato di successi politici ai tempi delle colonie, un’economia florida quando tutto girava attorno a carbone e acciaio. Ma anche un Paese da tempo diviso: fino alla seconda metà   del secolo scorso il sud vallone forte delle sue miniere e delle sue industrie, il nord fiammingo e rurale che stentava a uscire da condizioni di sottosviluppo. Oggi la ruota ha girato: la ricchezza e il lavoro si sono spostati nelle Fiandre del terziario avanzato, la disoccupazione e il declino sono il volto della Vallonia francofona. E poi c’è la legge dei numeri: la ricchezza pro capite nel nord supera di quasi il 50% quella del sud, il 60% della popolazione è fiamminga, il 40% francofona e la prima non vuole più pagare per la seconda. Anche qui il nord chiede una revisione della fiscalità   e della solidarietà   nazionale: i fiamminghi non vogliono più pagare la protezione sociale dei valloni, ma non chiedono di spostare ministeri nazionali nelle Fiandre, anche perchà© di ministeri veramente nazionali ne sono rimasti pochi, come gli Affari esteri, la Giustizia, la Difesa, gli Interni e poco più. Funzionano come possono le autonomie regionali che, con il governo nazionale vacante, tengono a galla il Paese e celebrano le qualità   di autogoverno della popolazione belga. Resta che il rischio di disintegrazione del Paese è alto, comincia anche da queste parti a circolare la parola «secessione» e lo sguardo di molti e’ rivolto alla fragile Europa come argine della stabilità   nazionale. Intanto anche qui il debito pubblico è fuori misura e la Banca Centrale Europea (BCE) lancia allarmi e chiede misure di risanamento.
àƒÆ’à¢â‚¬° del Belgio che stiamo parlando, ma per molti versi sembrerebbe l’Italia: se non quella di oggi, forse quella di domani se Pontida fosse una cosa seria e se le istituzioni nazionali dovessero piegarsi ai ricatti padani. Compresi quelli formulati con lo slogan «più risorse e meno tasse per il nord», messaggio indirizzato a Giulio Tremonti, proprio mentre stava cercando a Bruxelles, con i suoi colleghi, la strada per il salvataggio della Grecia ed impedire che anche l’Italia – come qui teme qualcuno – finisca nel vortice dei Paesi a rischio di bancarotta.
Così diventa obbligatorio, in mancanza di meglio e di qualche improbabile miracolo, schierarsi con la severità   di Tremonti e resistere alle rivendicazioni irresponsabili della Lega. E sperare che la Germania, insieme con la Francia, non impieghi troppo tempo a venire in soccorso della Grecia, per non rendersi responsabile di un suo fallimento che tutti saremo chiamati a pagare.
Vicende – belga, italiana, greca e europea – che si fanno eco l’un l’altra e ci dicono che tutti insieme stiamo attraversando una fase delicata, da affrontare con realismo e senso di responsabilità  .
Altrochà© proclami padani e trasferimento di ministeri in Lombardia, proprio sotto casa di qualche ministro che si diverte a giocare col fuoco. Non era questo il messaggio mandato dalla stragrande maggioranza degli italiani nelle ultime consultazioni elettorali: sarà   bene decidersi a raccoglierlo, cambiare musica e pensare al bene comune di tutto il Paese.
Altrimenti tornerà   ad avere ragione il vecchio Pindaro quando ammoniva che «gli dei accecano coloro che vogliono perdere». E vale tanto a destra che a sinistra.

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