E’ arrivato, la settimana scorsa, come un fulmine a ciel sereno, il tweet del Presidente Trump che annunciava il riconoscimento, da parte degli Stati Uniti, delle alture del Golan come parte del territorio israeliano. Trasformata velocemente in un decreto, la decisione di Trump si iscrive nella nuova linea politica americana, sempre più orientata a scuotere il complesso scacchiere mediorientale, già pericolosamente attraversato da molteplici conflitti e da impossibili processi di pace.
Dopo il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, bocciato a suo tempo dalle Nazioni Unite, il riconoscimento della sovranità israeliana sulle alture del Golan rappresenta un ulteriore attacco da parte degli Stati Uniti al diritto internazionale e al rispetto dei principi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite. Non solo, ma una simile decisione, presa unilateralmente, ignora, in modo quasi umiliante, gli alleati europei.
Lo hanno infatti ribadito in una dichiarazione congiunta i Paesi europei membri del Consiglio di sicurezza dell’ONU, Belgio, Francia, Germania, Polonia e Gran Bretagna, i quali hanno prontamente riaffermano la loro posizione e il non riconoscimento della sovranità di Israele sui territori occupati dal giugno 1967, comprese le alture del Golan. Hanno ricordato inoltre che “l’annessione di un territorio con la forza è vietata dal diritto internazionale. Qualsiasi dichiarazione di un cambiamento unilaterale dei confini va contro la Carta delle Nazioni Unite”.
Le alture del Golan sono state occupate da Israele durante il conflitto con la Siria nel 1967. L’annessione del territorio, avvenuta nel 1981, non è mai stata riconosciuta dalla comunità internazionale che ha sempre considerato il Golan territorio siriano. Non solo, ma il ritiro da parte di Israele dai territori occupati durante i suoi vari conflitti, era considerato, in una risoluzione dell’ONU, come una contropartita per garantire la normalizzazione delle relazioni fra Israele e i Paesi arabi vicini. Fu il caso, esattamente trent’anni fa, il 26 marzo 1979, quando Egitto e Israele firmarono il Trattato di pace che prevedeva, fra l’altro, il ritiro israeliano dal Sinai. Era anche un elemento importante alla base del negoziato di pace israelo-palestinese, oggi giunto ad un punto morto e senza prospettive di rinascita o di una giusta soluzione, malgrado le confuse dichiarazioni e promesse di un nuovo piano fatte dello stesso Presidente Trump.
Al contrario, l’improvviso riconoscimento della sovranità israeliana sul Golan, nasconde in sé la legittimazione della politica di annessione praticata da tempo da Israele, sollevando inquietanti dubbi e timori sul futuro della Palestina, di Gaza e della Cisgiordania.
La decisione americana interviene tuttavia in un momento di incertezza per Israele e in particolare per il suo primo Ministro Benjamin Netanyahu, in gravi difficoltà per le prossime elezioni del 9 aprile. Se effettivamente l’iniziativa di Trump è destinata a sostenere e rafforzare la posizione di Netanyahu e del suo partito, il Likoud, è lecito chiedersi se il cinismo diplomatico ed elettorale in questione sia cosi’ forte da ignorare tutte le conseguenze che una tale decisione puo’ produrre, sotto tanti punti di vista : da quello appunto del non rispetto del diritto internazionale a quello della stabilità e della sicurezza di un’intera regione, oggi più che mai teatro di molteplici conflitti e di cui Israele fa parte.
L’Unione europea, pur condannando la decisione di Trump sul Golan non ha tuttavia dato prova di coerenza politica nei confronti di una situazione mediorientale cosi’ complessa. La Romania, che oggi detiene la Presidenza di turno dell’Unione europea, ha annunciato di voler trasferire la sua ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, seguendo in tal modo la decisione del Presidente americano. Una decisione che non aiuta certo a conferire all’Unione Europea quel ruolo, quella presenza e quella legittimità sulla scena internazionale per sostenere il dialogo e garantire la pace, in particolare in Medio Oriente.