Nodi al pettine

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Prima o poi i nodi vengono al pettine: talvolta arrivano da lontano ma non per questo la loro forza d’urto si attutisce, anzi. àˆ quanto sta accadendo in questi giorni a proposito del flusso di migranti che si sta riversando sulle coste dell’Europa attraverso quello stretto braccio di mare che è il Canale di Sicilia, oggi frontiera calda dell’Unione Europea, oltre che dell’Italia.
I nodi irrisolti che vengono da lontano hanno due nomi: il progressivo indebolimento del processo di integrazione europea e l’impatto della globalizzazione e degli squilibri economici tra le diverse aree del mondo sulla nostra vecchia Europa.
àƒÆ’à¢â‚¬° almeno dagli anni ’80 che spiriti avveduti e lungimiranti, come il nostro Altiero Spinelli, ci avevano avvertito che il futuro dell’Europa avrebbe dovuto tradursi progressivamente in un governo politico federale, pena il suo declino. Gli avvenimenti del 1989, con l’abbattimento del Muro di Berlino, erano un’occasione per accelerare in questa direzione. Purtroppo l’allargamento faticoso verso est e la nostalgia delle ritrovate sovranità   dei nuovi Paesi membri dell’UE hanno invece agito da freno, suscitando incertezze e arretramenti anche tra i Paesi fondatori dell’UE, come nel caso della Francia e della Germania. Due Paesi orfani di leader della statura di Franà §ois Mitterand e Jacques Delors o del tedesco Helmut Kohl, che hanno dovuto invece fare i conti con la figura modesta e in perenne agitazione di Nicolas Sarkozy e la leadership in crisi di Angela Merkel, entrambi in grande affanno di fronte ad un consenso elettorale in caduta libera.
In quella stagione decisiva per i progressi dell’UE, l’Italia aveva potuto schierare tre nomi importanti come quelli di Giuliano Amato, Carlo Azeglio Ciampi e Romano Prodi, che hanno lasciato il segno ma purtroppo per una stagione troppo breve, dopo la quale si è assistito ad un progressivo disimpegno dell’Italia nell’UE che intanto si andava rapidamente allontanando dal suo progetto originario
E così abbiamo fatto l’euro, ma non l’Europa e adesso ne paghiamo le conseguenze. Tra queste, un declino economico e una crescente irrilevanza dell’UE sulla scena mondiale, accompagnate da una pesante assenza di politiche comuni, da quella estera a quella sociale fino a quella relativa all’immigrazione, con la conseguente incapacità   di governare i nuovi flussi migratori in provenienza da popoli che si risvegliano alla libertà   e cercano migliori condizioni di vita.
Le vicende di Lampedusa saldano così insieme due nodi irrisolti, dando fuoco a una miccia esplosiva: da una parte, l’incapacità   dell’UE a dotarsi di politiche comuni e, dall’altra, il recente inarrestabile flusso di migranti, in particolare di quelli che transitano in Africa e che la guerra con la Libia sta riversando sulla Tunisia, dove la transizione democratica in corso rende difficile il governo di una vera emergenza, prima tunisina e poi, in misura molto minore, anche italiana, in attesa che diventi europea.
Giustamente sollecitata a intervenire, l’UE si scontra contro l’egoismo di Paesi che pure pretendono di guidarla e con la propria incapacità   ad attivare politiche comuni, a questo condannata da Trattati perennemente in ritardo sui tempi e con normative, come nel caso degli accordi di Schengen sulla libera circolazione, che ognuno interpreta a sostegno dei propri interessi.
Da Budapest il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che nei giorni scorsi aveva richiamato l’Italia ad assumersi le sue responsabilità  , ha rivolto un analogo invito all’UE chiedendole di parlare «con una voce sola».
Due giorni dopo si sono riuniti in Lussemburgo i ministri degli Interni europei e non è stato un bello spettacolo.
L’Italia arrivava all’incontro preceduta dalle minacce del ministro leghista Roberto Maroni di uscire da Frontex, l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere, e del presidente del Consiglio, come sempre facile agli eccessi, di percorrere la strada della divisione in Europa in assenza di una risposta alle richieste dell’Italia. Chiaramente ostili le posizioni di Francia e Germania, due Paesi che invece di guidare, come pretendono, l’Unione Europea stanno contribuendo a indebolirla, ossessionati come sono dalle loro vicende politiche nazionali e da temute scadenze elettorali.
Gli echi di questo sgangherato concerto si sono fatti sentire nella riunione di Lussemburgo di lunedì: non solo l’Italia ne è uscita senza ottenere soddisfazione, ma si è ulteriormente inasprito il contenzioso con il nostro Paese, lasciato solo dalla maggioranza dei Paesi UE, fortemente contrastato da Germania e Francia e non sostenuto dalla Commissione Europea: tutti poco convinti della drammaticità   dei numeri di migranti esibiti dal nostro governo rispetto a situazioni simili vissute da altri Paesi dell’UE.
Il ministro Maroni si è abbandonato a commenti poco opportuni, obbligando il presidente Napolitano a ricordare al nostro governo che non è il momento di scherzare e di pensare a ritorsioni e il ministro Franco Frattini a correggere vistosamente il ministro degli Interni. Interventi che non hanno impedito al vice ministro Roberto Castelli e all’europarlamentare Francesco Speroni, entrambi leghisti, di evocare la prospettiva di «sparare agli invasori».
Adesso uscire dall’isolamento in cui l’Italia si è cacciata sarà   difficile e non sarà   semplice per il ministro Giulio Tremonti convincere nei prossimi giorni Bruxelles della serietà   del governo italiano sull’atteso piano di rilancio economico e di risanamento dei conti al nostro Paese e sui relativi numeri.
Quel giorno capiremo meglio quanto potrà   «servire l’Europa» e quanto ci «serviranno» il ministro Maroni e l’incultura europea della Lega.

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