Libia sempre senza pace

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La comunità internazionale si era data appuntamento alla Conferenza di Berlino il 19 gennaio scorso per cercare di identificare alcuni obiettivi essenziali per spianare la strada ad un processo di pace in Libia. Obiettivi sensibili e impegnativi, fra i quali spiccavano in particolare la richiesta di “trasformare la tregua in un cessate il fuoco permanente”, di  “fermare l’ingerenza straniera nel conflitto”, di “rispettare un embargo sulla fornitura di armi” e di “ far ripartire un processo politico”, interrotto dall’offensiva del Generale Haftar lanciata contro Tripoli nell’aprile scorso. Un processo politico che dovrà portare alla creazione di un nuovo Governo, alla definizione di una nuova Costituzione e a nuove elezioni.

Intorno al tavolo della Conferenza, voluta in particolare dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel, erano presenti tutti i Paesi coinvolti nel conflitto in corso, salvo i diretti interessati, che, sebbene ostinatamente divisi e incapaci di comunicare fra loro, avevano tuttavia approvato alcuni aspetti dell’accordo, in particolare la nomina di un comitato congiunto supervisionato dall’ONU per monitorare il cessate il fuoco.

La posta in gioco insita in una tale Conferenza era ed è molto alta : in primo luogo,  l’obiettivo di mettere fine alle ingerenze straniere e di far rispettare un embargo sulle armi, era un impegno richiesto ad attori internazionali e regionali di un certo peso, quali la Russia, la Turchia, l’Egitto, gli Emirati arabi e l’Arabia Saudita, che, da posizioni opposte, hanno sostenuto e continuano a sostenere il conflitto. In secondo luogo, esiste il pericolo che la Libia possa diventare il teatro di uno scontro regionale molto più vasto, viste le tensioni che stanno crescendo nel Mediterraneo orientale intorno alla questione della delimitazione delle Zone economiche esclusive  e dei giacimenti di gas, questione che oppone, in particolare la Turchia a Cipro e Grecia. Ed è in particolare in questo contesto che andrebbe letto l’accordo stipulato recentemente fra la Turchia e il Presidente Al Sarraj al riguardo, con la conseguente presa di posizione della Turchia a fianco di Tripoli.

Ma, spenti i riflettori sulla Conferenza, la situazione, a distanza di un mese, non sembra andare nella direzione degli accordi sottoscritti. Proprio l’ONU, attraverso il suo Rappresentante speciale per la Libia, Ghassan Salamé, ha denunciato in questi ultimi giorni la ripresa dei combattimenti vicino a Tripoli e la violazione sistematica dell’embargo sulle armi, una situazione in netta contraddizione con gli impegni presi a Berlino. Gli sforzi diplomatici effettuati finora dai rappresentanti libici e dalla comunità internazionale, tuttora al lavoro a Ginevra per dar seguito agli impegni presi a Berlino, hanno permesso tuttavia la redazione e la presentazione al Consiglio di sicurezza dell’ONU di una risoluzione che chiede, in particolare, un cessate il fuoco vincolante. Si tratta purtroppo di una risoluzione adottata con l’astensione della Russia, un’astensione che pone seri e inquietanti interrogativi sulla prospettiva di una soluzione politica percorribile e condivisa da tutte le parti coinvolte. 

Non a caso infatti la risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza dell’ONU invita non solo l’Unione Europea, ma anche la Lega araba e l’Unione africana ad impegnarsi e a coordinare i rispettivi sforzi per sostenere l’ONU nella sua ricerca di una soluzione politica e ad allontanare i pericoli di un incendio che potrebbe propagarsi oltre i confini della Libia stessa, riproponendo il doloroso esempio della Siria.

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