L’Europa divisa da un nuovo muro?

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Chissà   se il Consiglio europeo straordinario svoltosi il 1° marzo scorso a Bruxelles sarà   ricordato come quello dei «no che fanno crescere» o non invece come un momento di grave caduta della solidarietà   europea? Lo scenario era quello ormai abituale: l’ennesima riunione al vertice per trovare risposte alla crisi, una riunione per prepararne un’altra – quella del 20 marzo – che servirà   a sua volta a preparare quella successiva, il 2 aprile a Londra quando si incontreranno i Paesi del G20 per coordinare tra di loro le misure e approfondirne i contenuti con Obama il 5 aprile a Praga.
Difficile stare dietro a tutte queste liturgie che per ora non hanno mai veramente inciso sull’evoluzione della crisi, salvo incitare spesso i mercati a nuove speculazioni.
Eppure dell’incontro di Bruxelles del 1° marzo vale la pena di parlare, non tanto per quello che si è deciso di fare, molto poco per la verità  , quanto per quanto si è deciso di non fare: il «no» opposto seccamente dai vecchi e più ricchi membri dell’UE alla richiesta di un piano di intervento in favore dei Paesi dell’est. Questi ultimi avevano tenuto una inusuale riunione prima dell’incontro a 27 per concertare una domanda globale di sostegno alle loro difficoltà   economiche e monetarie, facendo pesare sull’UE il fantasma – qualcuno ha parlato di ricatto – di una frana delle monete e dei conti pubblici che avrebbe rischiato di mettere in difficoltà   anche la zona euro, da cui provengono alcune banche particolarmente esposte nei Paesi dell’est.
Di questa richiesta, fin dall’inizio non condivisa dalla Slovenia e subito dopo dalla Slovacchia, non a caso due Paesi della zona euro, si era fatta portavoce soprattutto l’Ungheria avanzando la proposta di un piano di salvataggio da 180 miliardi di euro e di un’accelerazione del processo di adesione alla moneta unica.
Ad entrambe le richieste la risposta è stata negativa: sull’ingresso della moneta, con la dichiarazione che non era possibile cambiare le regole del gioco, ma fuor di ipocrisia per non rendere fragile l’euro con ingressi «non maturi»; sul piano miliardario, con l’argomento che le situazioni andavano trattate Paese per Paese e che, a queste condizioni, l’UE non si sarebbe sottratta al suo dovere di solidarietà  .
Rispedite al mittente le due richieste, c’è da chiedersi quale sia il significato di questi «no» e il loro effetto a breve e medio termine. In altre parole, sarebbe importante capire se si è trattato di «no che fanno crescere» l’Europa o se sono il segnale, a 20 anni dalla caduta del muro di Berlino e a 5 anni dall’allargamento, di una caduta di solidarietà   che potrebbe minare la futura coesione europea.
Vi sono argomenti in favore di entrambe le risposte. Da una parte la decisione, peraltro alla fine largamente condivisa, puಠessere considerata un incitamento al rispetto delle regole e alla responsabilità   di ciascuno nel proprio Paese; dall’altra il rifiuto dei Paesi più ricchi puಠessere letto come un tentativo di proteggere i propri interessi a scapito anche di Paesi più deboli e con maggiori difficoltà   ad affrontare la crisi.
Ma poichà© ci dev’essere una ragione al consenso finalmente raggiunto, forse vi è una terza risposta ed è la speranza, da una parte e dall’altra, di proteggere i propri interessi nazionali, ciascuno sperando di potere portare a casa migliori risultati in una trattativa bilaterale – in particolare con la Germania – che non in un accordo a 27.
Prova di realismo politico, si dirà  . Forse, ma anche di scarso senso della prospettiva e di difficoltà   a definire risposte comuni con le quali presentarsi coesi al Vertice del G20 di aprile.
Adesso rimane l’occasione del prossimo Consiglio europeo, fra qualche giorno, per ricucire e tenere insieme un’Europa che rischia, sotto i colpi della crisi, di allentare i legami costruiti con pazienza in tutti questi anni tornando al passato delle «due Europe» e portare nuovi inquietanti mattoni ad un muro che credevamo abbattuto per sempre.
I giorni ed i mesi che verranno ci diranno se questa crisi economica sarà   per l’UE un’occasione di rilancio o l’inizio di una pericolosa china verso la disgregazione.

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