Che oggi molte parti del mondo siano in fiamme non dovrebbe più sfuggire a nessuno. E non solo quel pezzo di mondo che circonda l’Europa e non è lontano dall’Italia: regioni che abbiamo impiegato troppo tempo a considerare un pericolo anche per noi, senza peraltro ad oggi aver reagito con qualche efficacia. Ma il mondo è più grande dell’anello che ci circonda da est a sud dell’Unione Europea e dove si guerreggia senza tregua, come in Ucraina, in Siria, in Iraq, a Gaza e in Libia. Altri conflitti sono in corso nel Daghestan, in Afghanistan e in molti Paesi dell’Africa come il Mali, la Nigeria, la Repubblica Centrafricana, la Repubblica democratica del Congo, il Sudan, il Kenya e la Somalia.Una lista già lunga, senza contare conflitti minori.
Per definizione molte di questi conflitti travalicano i confini nazionali e solo autorità sovranazionali o internazionali potrebbero svolgere un ruolo pacificatore, cui prova a supplire talvolta la “potenza regionale” di turno che, quando porta il nome di Stati Uniti, tende ad allargare il suo perimetro di influenza, anche se questo accade molto meno in questi ultimi tempi, fino a riportare alla memoria un passato “isolazionista” degli USA.
Di almeno parziale autorità sovranazionale – che riconosce competenza a intervenire a nome di tutti i Paesi membri e dispone di strumenti sanzionatori – ne esiste al mondo una soltanto ed è l’Unione Europea, la cui azione in questa fase di transizione istituzionale non ha brillato per capacità di iniziativa, nemmeno alle sue immediate frontiere, figuriamoci in Paesi più lontani.
Qualcuno invoca come attenuante i limiti del diritto internazionale oltre che l’inadeguatezza dei Trattati UE in materia di politica estera e della sicurezza comune. Giustificazione fragile se l’incendio lambisce casa tua e mette a soqquadro il mondo e devi pensare a salvare il salvabile prima che sia troppo tardi.
A loro volta che fanno altre Istituzioni internazionali chiamate, se non a governare il mondo, almeno a frenarne derive suicide? Il pensiero va naturalmente all’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e alla sua galassia di Agenzie, all’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico (NATO) e, più vicino a noi, al Consiglio d’Europa.
A quest’ultimo, nato nel 1949 con il Trattato di Londra, all’indomani della Seconda guerra mondiale e con sede a Strasburgo, è affidata la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Dei 47 Paesi membri fanno parte la Russia e l’Ucraina, è Paese osservatore Israele: possibile che non abbiano nulla da dirsi e da dire al mondo?
La NATO, creata anch’essa nel 1949 e con sede a Bruxelles, è un’alleanza difensiva a protezione dei Paesi che ne fanno parte: tra di essi non c’è né la Russia, né l’Ucraina, né Israele e ben si può capire la sua posizione di attesa, anche se potrebbe non essere inutile un richiamo ai suoi Paesi membri che foraggiano di armi molte parti in conflitto.
E infine l’ONU, nata nel 1945 e con sede a New York, nel cui Statuto si legge: “Noi, popoli delle Nazioni unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra…, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana”, ha tra i suoi obiettivi primari il mantenimento della pace e la composizione delle controversie internazionali. Ne fanno parte 193 Paesi, ad esclusione della Palestina, rappresentata ad oggi dall’Autorità nazionale palestinese. Attorno a quel tavolo ci sono tutti, si sono moltiplicate nel tempo una pletora di Agenzie settoriali ma purtroppo i risultati sono modesti, certo non a misura dei pericoli che corre il mondo.
La solennità dei principi affermati fa venire in mente le parole di Mark Twain: “Appoggiatevi forte sui principi, finiranno per cedere”. Prima che accada, c’è da sperare in un soprassalto di saggezza da parte di chi ci governa, avendo a mente come si incendiò inaspettatamente il mondo cento anni fa.