Europa: se non ora quando?

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Ci sono volute le macerie della seconda guerra mondiale per costruire la prima Comunità   europea. E se adesso sulle macerie, non tanto delle borse volatili e forse nemmeno dell’euro ai minimi, ma su quelle di una politica miope, impotente di fronte alla globalizzazione selvaggia e indifferente ai risorgenti nazionalismi, nascesse finalmente un’altra Unione Europea?
Le condizioni ci sono tutte, a cominciare dall’assenza di alternative tra un’Europa politica coesa – se non con tutti i ventisette, almeno con chi ci sta – e la condanna dei suoi Paesi all’irrilevanza totale, Germania compresa. E se i tedeschi – che domenica scorsa hanno severamente punito, nelle elezioni nel Nord Reno Westfalia, la pur prudente Angela Merkel – non lo capiscono, allora dovremmo noi interrogarci sul futuro di una Germania, nostalgica del marco e, speriamo, non della sua storia recente.
Perchà© non sorprende nà© inquieta più di tanto che il Regno Unito in grande confusione politica, si sia chiamato fuori dal sostegno all’euro di cui non peraltro non fa parte in un’UE della quale non è certo il motore.
Inquieta invece, e molto, che la Germania, da noi tutti sostenuta nel non scontato processo della sua unificazione, abbia esitato così a lungo nel dare il suo sostegno alla Grecia e lo abbia fatto solo quando si è sentita minacciata direttamente. Inquieta ancora di più che per farlo abbia avuto bisogno delle telefonate di Barak Obama, che ai suoi occhi sembra pesare di più della Banca centrale europea che pure ospita in casa sua, e non a caso, a Francoforte.
Inquieta che la Germania, quella che fu di Helmut Kohl, abbia dimenticato che l’euro traduceva il suo impegno per una «Germania europea» piuttosto che la deriva verso una «Europa tedesca», da scongiurare per sempre.
Ma in Europa, tra i Paesi fondatori, non c’è solo la Germania a doversi assumere le responsabilità   che il momento impone: vi sono anche i Paesi del Benelux, la Francia e l’Italia.
I primi hanno un peso insufficiente per poter intervenire, anche se il Belgio e il Lussemburgo mantengono un coerente atteggiamento europeista, dal quale perಠsi discostano ormai vistosamente i Paesi Bassi.
La Francia, a suo modo, sta cercando di ritrovare un ruolo di protagonista, tentando di riavviare il tradizionale motore europeo dell’alleanza franco-tedesca:
lo ha fatto con dignità   nel corso della sua recente presidenza semestrale, lo sta facendo in questi giorni operando in favore della solidarietà   alla Grecia e contro la speculazione selvaggia, brillantemente aiutata da irresponsabili agenzie di rating.
E l’Italia? A parte la recente conversione di Tremonti alla solidarietà   europea e il suo contributo propositivo alla ricerca di una via di uscita dalla crisi finanziaria, non riesce credibile agli occhi di Bruxelles una confusa maggioranza di governo che da anni, in alcune sue componenti, svilisce l’Europa con proclami secessionisti o con continue infrazioni alle sue regole, appesantita dal macigno del suo debito pubblico. Un’Italia che, in questo contesto, con il suo presidente del Consiglio invoca la situazione di «emergenza» per chiedere più coesione europea. Va già   bene che non abbia proposto a Bruxelles di affidare le sorti dell’UE a Bertolaso che peraltro, viste le più severe regole europee e le limitate risorse disponibili, avrebbe probabilmente declinato l’invito.
In questa congiuntura difficile, conforta che lo scorso 9 maggio l’UE abbia degnamente festeggiato il suo sessantesimo compleanno con una decisione importante: l’adozione di un piano anti-crisi di 750 miliardi di euro a salvaguardia della zona euro minacciata dalla speculazione. Un passo storico, che ha esaltato le borse europee, ma ancora insufficiente fin quando mancherà   un governo economico europeo a fianco della moneta unica.
àƒÆ’à…  il senso di quanto affermato dal nostro Presidente della Repubblica, che ha richiamato le figure di Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli impegnati a realizzare «progressive condivisioni di sovranità  » e ha sostenuto che «deve concretizzarsi finalmente l’indispensabile governo dell’economia a livello europeo, che dia ulteriore forza e autorevolezza alla moneta unica e rilanci lo sviluppo, l’occupazione e la qualità   del lavoro»
Alle parole di Giorgio Napolitano non c’è proprio nulla da aggiungere. Basta il titolo di un libro di un nostro scrittore, Primo Levi, testimone e vittima di un’altra Europa che non vogliamo più rivedere: «Se non ora, quando?».

2 COMMENTI

  1. Certamente non tutti i tedeschi si sono dimostrati concordi con Angela Merkel perchè anche l’economia tedesca non è così florida. Con le sue paure la Merkel non ha dimostrato di possedere le stesse doti di grande leader europeo come Adenaurer, Brandt o Kohl. Io penso che comunque solo il tempo potrà  darle ragione e premiarla per la sua coraggiosa decisione di aiutare la Grecia a risollevarsi dalla deflazione.

  2. Ero e resto cosciente della severità  del mio giudizio, per la verità  più mirato all’opinione pubblica tedesca che non alla Merkel (comunque recidiva nelle sue recenti decisioni solitarie e poco europee). Vista la storia tragica del secolo scorso meglio dire quello che si pensa in tempo e confrontarsi sui rischi che corriamo. Grazie quindi per il suo commento.

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