Dalla Francia in fiamme un messaggio all’Europa

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«Cosa puಠsperare un ragazzo che nasce in un quartiere senz’anima, che vive in palazzo sporco, circondato da altri altrettanto sporchi, da mura grigie in un paesaggio grigio per una vita grigia, con intorno una società   che preferisce distogliere lo sguardo e non interviene che quando bisogna rimproverare, proibire?» [Franà §ois Mitterand 1990]

Le violenze che si stanno succedendo da giorni in Francia, prima nelle periferie di Parigi e ultimamente anche in molte altre città  , non sono solo un problema francese e ancor meno del suo Governo di destra, ma sono un problema per tutta l’Europa e un avvertimento anche in Italia per tutta la classe politica, tanto di maggioranza che di opposizione.
Sono violenze che vengono da lontano: da decenni crescono le tensioni nelle periferie segnate da insediamenti urbani al limite della vivibilità  , dove si sono concentrate ampie fasce di popolazione emarginata, in gran parte di nazionalità   francese anche se maghrebina, ma privati di una cittadinanza sociale effettiva. Molto basso il tasso di istruzione, sempre più alto quello della disoccupazione, ormai irreversibili molte situazioni di povertà   grave. Che vi fiorisca una diffusa micro-criminalità   non stupisce e che la legalità   sia difficile da far rispettare è ormai constatazione banale.
Adesso che la violenza è scoppiata, con decine e decine di incendi, migliaia di auto distrutte e centinaia di fermi, un fenomeno antico esplode nell’attualità   televisiva che ne svela gli inquietanti contorni. E’ presto per dire con precisione di quali ingredienti sia fatta questa miscela esplosiva: sembra più la rabbia di emarginati che non una lotta organizzata, più il prodotto di insopportabili frustrazioni che non l’avvio di un conflitto dai colori etnici, non ancora uno scontro di civiltà   e ancor meno di religioni. E tuttavia è urgente capire di cosa è fatta questa miscela per poterla disinnescare. Anche perchà© la miccia potrebbe non essere così lunga e magari accendersi presto anche in altri Paesi dell’Europa e, perchà© no, nelle nostre città  .
Non c’è legalità   senza giustizia ed equità  .
Questa Europa da sempre «meticcia» ha conosciuto negli ultimi decenni un forte afflusso di popolazioni in provenienza dal resto del mondo. In alcuni Paesi europei, come la Francia, la Gran Bretagna, il Belgio e l’Olanda, molta parte di questi flussi proveniva dalle ex- colonie e paradossalmente è accaduto che per qualche tempo la « convivenza coloniale» potesse proseguire senza troppe scosse nell’area metropolitana a decolonizzazione avvenuta. In altri Paesi con esperienze coloniali non consolidate, come Germania, Spagna e Italia, l’approdo di queste popolazioni si è rivelato più difficile fin dall’inizio, quasi che lo «straniero» lo si scoprisse per la prima volta e fosse difficile trovargli un posto tra di noi. Oggi tutti questi Paesi sono alle prese con la difficoltà   di convivere con l’»altro», che «altro» resta non solo perchà© noi stentiamo ad accoglierlo, ma anche perchà© «altro» esso stesso vuole essere in nome del diritto all’identità  . Quanto accade in Francia è particolarmente rivelatore di questo mancato incontro. Si tratta di un Paese che, diversamente dalla politica multiculturalista praticata dalla Gran Bretagna, ha optato per una strategia integrazionista che mirava a cancellare lo «status» di straniero accordandogli la cittadinanza francese. Gli attentati di Londra del luglio scorso e le violenze di Parigi di questi ultimi giorni fanno dubitare che entrambe le strategie abbiano sortito duraturi effetti positivi. E forse in entrambi i casi per una ragione, almeno in parte, comune: l’incapacità   di queste politiche di far crescere nei nostri Paesi una comune cittadinanza sociale, comune alle popolazioni indigene come a quelle straniere. Una cittadinanza fatta di diritti universali riconosciuti a tutti coloro che convivono e lavorano legalmente sullo stesso territorio, fatta di un esercizio effettivo di tali diritti grazie a politiche di solidarietà   e, ancor prima, alla pratica rigorosa della giustizia e dell’equità  . Perchà© è di qui che, anche nelle nostre città   (e Bologna non è poi così lontana dalle città   del Piemonte), bisogna partire: mettendo prima la giustizia e l’equità   sociale della legalità  . In particolare in questo nostro Paese dove recentemente pretese «legalità  » (dalle leggi «ad personam» alla Bossi-Fini) hanno ferito la giustizia e non hanno certo promosso l’equità   e la coesione sociale.

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